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Coronavirus, cosa ci dice l'emergenza sul nostro Paese?

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L'emergenza Coronavirus non va sprecata per capire come ci si sente a essere discriminati non per quel che si fa di male, ma per quel che si è (lumbard, settentrionali, terroni, marocchini...).

Che il Nord-Est orgoglioso della sua efficienza, ricchezza e potenza si rivela la parte più fragile, esposta e più colpita; che l’immagine del Nord “che sa, che può, che fa” ne esce ammaccata, sino all’amara sorpresa di vedere il criterio di “stima da latitudine” ribaltato, come da sintesi del cartello-provocazione “Non si affitta a settentrionali” (che pur mai davvero esposto, ha ugualmente colpito in pieno); che in occasioni straordinarie come quelle epidemiche, se non sempre, la sanità sia cosa troppo seria, per lasciarne la gestione in ambito locale, persino alle tre regioni meglio attrezzate, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (che, con l’Autonomia differenziata, vorrebbero estendere quei poteri esclusivi a quasi tutto) e nelle quali sono concentrati i decessi; che non abbiamo l’idea di cosa sia aver un Paese, farne parte, con questo intendendo doveri, diritti e convenienze (le comunità esistono, perché e finché i vantaggi di starne dentro superano gli svantaggi); che lo Stato è visto come un “altro” da cui prendere più che si può e a cui dare meno possibile e buona politica non è creare condizioni per essere italiani allo stesso modo ovunque in Italia, ma italiani privilegiati a casa propria, a spese degli altri.

Il presidente della Lombardia Attilio Fontana si è offeso per l’accenno del capo del governo Giuseppe Conte a “falle” del sistema sanitario regionale. Sarà, ma un coinquilino del primo morto in Italia per Coronavirus, a Codogno, ha dovuto intervenire telefonicamente in una trasmissione di Rai-Radio3, per denunciare di esser chiuso in casa da giorni con sintomi influenzali, febbre alta, senza che nessuno, dal medico di base ai centri specializzati (ognuno indirizzandolo all’altro) gli facesse una visita e il tampone. E un italiano arrivato a Malpensa con lo stesso aereo dei coniugi cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma ha circolato liberamente, per poi tornare in Cina, dove lavora, e dove è stato messo in quarantena (veniva dalla Lombardia…).

Immaginate se una cosa del genere fosse successa a Napoli o lì, come avvenuto in Veneto, il dirigente regionale dell’Agenzia per il farmaco avesse negato la spesa “non prevista” per i tamponi messi a punto dall’ospedale di Padova, e già venti giorni prima erano in grado di rivelare, in tre ore, la presenza di Coronavirus.

L’indignazione squilibrata del sistema informativo (a Nord il male è l’eccezione del bene; a Sud il bene è l’eccezione del male) ha quasi sorvolato sulle “falle”, per dare più risalto al “razzismo” dei meridionali. I social hanno reso virale il cartello-sberleffo “Non si affitta a settentrionali” che ribalta un pregiudizio e lo demolisce: la reciprocità è il più efficiente maestro di sempre, perché ci mette nella condizione “dell’altro”.

I turisti lombardi e veneti respinti a Ischia hanno vissuto il pregiudizio inteso (e imposto) positivo mutarsi nel contrario: essere “del Nord” non valere come un “di più”, ma un “meno”. La signora Teresa, divenuta famosa (e bersaglio di insulti) per la protesta contro l’arrivo di turisti dalle regioni focolaio di infezione, si è difesa dinanzi al tribunale unico di oggi, il web, con un video: proteggo la mia famiglia dal contagio. Perché l’Austria non fa la stessa cosa, e non solo l’Austria? E i dirigenti scolastici che bloccano gite a rischio? In Basilicata, a un avvocato giunto da Milano per una causa hanno vietato l’ingresso in tribunale.

Se non tutto il male viene per nuocere, non va sprecata questa occasione per capire come ci si sente a essere discriminati non per quel che si fa di male, ma per quel che si è (lumbard, settentrionali, terroni, marocchini…).

Crescere nella convinzione del falso diritto (condannato a parole, magari, ma goduto nei fatti) di “Prima il Nord” e poi vedersi esclusi, perché del Nord è una lezione. Tanti hanno voluto scorgere una sorta di godimento più o meno camuffato, a Sud, nella ghettizzazione (pur solo sanitaria) della Padania degli insulti ai terroni.

E ci sarà chi se la ride, per la legge di “una volta ciascuno”, ma non si sono visti (e speriamo che, essendo la stupidità universale, non ci siano smentite…) gli striscioni allo stadio, per invitare il virus a far strage di padani. Il contrario si è visto, si vede da sempre, si continua a vedere, ma è sminuito come folclore sportivo (Etna, Vesuvio, terremoti, colera: purché distruggano i terroni).

Questa lezione non va sprecata pure per altro: a Palermo, il virus è arrivato con tre bergamaschi, ricoverati in ospedale. Chi ha in mente un Paese, pensandolo suo, vuole che le buone strade, i treni veloci, gli ospedali ben attrezzati siano ovunque, perché ovunque si possa essere “a casa” nel proprio Paese.

Se si punta su “Prima il Nord” o sulla spesa storica a vantaggio quasi esclusivo del Nord (rimesse statali, investimenti pubblici, grandi opere, infrastrutture efficienti, Centri di ricerca, servizi…) per avere una zona del Paese ben dotata, a danno di un’altra, e poi ti capita di ammalarti nella parte di Paese penalizzata, capisci cosa vuol dire non avere un Paese e non poter contare, ovunque sugli stessi servizi, le stesse garanzie. Il Paese c’è, se lo abbiamo voluto, se vogliamo ci sia.

Ma la lezione mi sa che non viene colta. I presidenti di Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, con supporto del segretario del partito, la Lega (di fatto sempre “Nord”), Matteo Salvini, hanno subito presentato “il conto dei danni” al Paese: 10 miliardi (per cominciare?). Una bulimia padana di fondi pubblici che ormai sfiora il ridicolo: Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d’America (che saranno pure meno importanti di Lombardia e Veneto, ma gira voce che siano un po’ più grandi delle due regioni padane e con popolazione venti volte maggiore), si accontenta di 2,5 miliardi di dollari, per fronteggiare il virus.

E con in sottofondo il mantra: siamo le regioni (le due, più l’Emilia Romagna) del 40 per cento del prodotto interno lordo italiano. E anche quelle in cui, con i soldi di tutto il Paese, si fanno infrastrutture negate al resto d’Italia e che sono motore di sviluppo: è stato appena dimostrato (dati Urispes, ma anche tabelle dei Conti pubblici territoriali) che in 15 anni sono stati sottratti al Sud 840 miliardi; e che le città toccate da linee ferroviarie ad alta velocità hanno una crescita di 7-8 punti superiore a quella nazionale. Mentre nelle sette regioni del Mezzogiorno circolano meno treni che nella sola Lombardia, l’alta velocità se la sognano e spesso si sognano proprio il treno, mai arrivato, come a Matera.

Vorrei pure vedere che con tutte queste circostanze favorevoli e dovute al sistema-Paese (pur se malmesso come il nostro), le regioni così agevolate andassero anche male! Ma questo è usato per chiedere ancora altro: siccome siamo avanti, ci dovete di più, per non andar indietro e, con noi, il Paese.

La cosa ormai è così spudorata (accise sui carburanti quattro volte maggiori per i terremotati emiliani, rispetto a quelli abruzzesi, che hanno avuto cento volte più morti e sfollati; raccolta fondi della Protezione Civile solo per gli alluvionati di Venezia, 25 milioni a quelli emiliani, meno di 50mila euro ai lucani, zero a gran parte del Sud colpito), che dal Mezzogiorno cominciano a partire richieste al governo di risarcimento danni al turismo, per i focolai d’infezione padani. Almeno 20 miliardi (per cominciare)…

Si dice che l’evoluzione proceda per catastrofi. Beh, forse un po’ di civismo in più può derivare da una epidemia sopravvalutata e che occupa tutto lo spazio informativo (che fine hanno fatto Renzi e le sue minacce di crisi di governo?).

A proposito: per aver diritto di parola nella discussione sul presunto razzismo dei terroni verso i padani, bisogna dimostrare di aver protestato per gli insulti di decenni contro i meridionali. Se no: sssst!