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Coronavirus, medico di Bergamo: "Ho pensato che non avrei più rivisto i figli"

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Angelo Valvassori, medico di Bergamo positivo ai test per coronavirus, è tornato dalla sua famiglia: il racconto di come ha vissuto la malattia.

Angelo Valvassori è un medico di 53 anni di Bergamo: era risultato positivo al coronavirus, ma dopo essere guarito è tornato dalla sua famiglia. Il racconto di come ha vissuto la malattia si aggiunge alle tante storie dei pazienti che hanno superato la grande difficoltà che comporta il Covid-19. “Non riesco ancora a dormire – ha confessato il rianimatore -. Ho gli incubi del casco”. Tuttavia, assicura: “Sto meglio, respiro bene, ma psicologicamente è dura”. Oltre alla malattia che debilita il fisico, anche il supporto psicologico è importante. La paura di non vedere più la famiglie e i figli, l’ansia di non riuscire a superare la malattia, il terrore di restare inerme di fronte a un virus invisibile. La storia di Angelo.

Coronavirus, il medico di Bergamo

Una storia a lieto fine quella raccontata dal medico rianimatore dell’ospedale di Bergamo, Angelo Valvassori: come altre persone, ha superato l’incubo del coronavirus. Lo ricorda fin dal primo momento questo incubo: “Quella domenica, il 1° marzo, avevo il turno dalle 16 alle 24. Pur avendo la febbre, sono rimasto perché credevo fosse stanchezza”. Il primo paziente, però, “è arrivato il 21 febbraio, e poi deceduto. So che la sera del primo marzo stavo curando il figlio, che era nelle stesse condizioni. Da subito ho avuto la percezione che la diffusione fosse rapida“.

Non pensi mai che possa attaccare anche te, eppure quel lunedì qualcosa era cambiato. “Lunedì – ha raccontato Angelo – mi sono svegliato e non avevo la febbre. La sera sono passato da zero a 38.8 in mezzora. La cosa che mi spaventavo un po’ era che non mi sentivo spossato. La febbre batterica ti butta a terra, quella virale no”. Poi i primi sospetti: “Sono arrivato a picchi di 39 e la sopportavo bene. Allora ho chiamato il medico del lavoro e mi hanno fatto il tampone: era positivo”.

Da quel momento “mi sono isolato nella stanza degli ospiti, ma il venerdì ho iniziato a non respirare bene e quando la dispnea è diventata importante mi sono fatto portare da mia moglie in ospedale. Per fortuna, si era liberato un posto in semi intensiva“. Non nasconde di aver avuto paura, come è normale che sia. “Quando sono uscito di casa – ha proseguito Angelo -, ho salutato i miei 4 figli e ho pensato che non li avrei più rivisti. Il maggiore si è accorto di quel saluto speciale”.

Al ritorno a casa “ho pianto lacrime per 10 minuti e mi sono liberato di tutto. Ora vorrei tornare a dare una mano, ma fatico ancora a stare sulle gambe. Ho perso 6 chili di massa muscolare, non riuscivo a mangiare per gli anti virali. Ieri ho finito la cura e per la prima volta ho pranzato senza avere la nausea”. Di fronte alla terribile esperienza, il consiglio e il monito che intende passare è uno solo: “L’unico modo per fermare l’escalation è stare in casa. Dobbiamo farlo, se vogliamo che le cose tornino a funzionare negli ospedali”.