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Coronavirus, infermiera laureata via Skype: "Vedo gente morire ogni giorno"

Coronavirus laureata

L'allarme Coronavirus ha accelerato i tempi: così Martina, appena laureata via Skype, è già infermiera: "Sono in trincea contro un male invisibile".

Serve tempo. Quel tempo così fugace ed effimero, così sfuggevole. Quel tempo tanto prezioso che tutti desideriamo. Ma di tempo non ce n’è abbastanza: è una corsa frenetica per salvare vite umane. È tanta la preoccupazione per chi nelle ultime ore lotta contro un virus micidiale. Ma dietro la fredda e asettica monotonia di numeri che si ripetono senza sosta, tra vittime e contagi, ci sono drammi e vite spezzate per sempre. Perché è vero che, come ricorda il professor Remuzzi, “molte vittime erano anziane o avevano precedenti patologie”, ma è anche vero che senza il Covid-19 “sarebbero ancora qui”. A chi sta bene viene chiesto solo rigore, forza di volontà e quel sano senso di altruismo che a volte pare smarrito. Serve tempo, ma i medici e gli infermieri, rinchiusi nella loro seconda casa, non ne hanno a sufficienza. Perché i malati sono ancora moltissimi, le terapie intensive sono stracolme e gli ospedali stremati. I posti letto spesso non bastano. Cosa significa svolgere turni massacranti, aiutare il prossimo, lottare per salvare chi soffre e sconfiggere il Coronavirus, lo sa bene Martina, giovane infermiera laureata via Skype lo scorso 10 marzo e ora già in trincea contro un male invisibile ma devastante.

Coronavirus, l’infermiera laureata via Skype

Dopo un interminabile turno di lavoro, solitamente, non si vorrebbe altro che tornare a casa. Togliersi i vestiti di dosso, metterli a lavare, farsi una doccia e rilassarsi. Si vorrebbe staccare la mente, pensare ad altro. Ci vorrebbe leggerezza, ironia, un po’ di divertimento. Ma per chi tutti i giorni vede la morte strappare per sempre delle vite, ricordi, affetti, speranza, è impossibile riuscire a evadere dalla frenetica routine quotidiana. Si ha paura di portarlo in casa, il virus. Si ha paura di far soffrire chi si ama. E le immagini dei pazienti che riempiono le corsie (e non solo le terapie intensive) restano addosso indelebilmente. Pesano come macigni, non danno tregua. Alla morte e alla sofferenza non ci si abituerà mai. E a chi, come Martina, con passione e dedizione è in prima fila ogni giorno contro il Covid-19, i veri eroi di questa tragedia, va espressa tutta la nostra gratitudine.

Intervistata da Open, la giovane infermiera leccese, ora a Milano, ha dichiarato: Vedo la gente morire, vedo la sofferenza con i miei occhi, ogni giorno. Nel reparto di terapia sub-intensiva dove lavoro ci sono giovani che, fino a due giorni fa, era sani e che adesso combattono contro un mostro invisibile, il Coronavirus, da soli su un letto d’ospedale”.

Il virus causa della pandemia ti condanna a una solitudine inesorabile e penetrante, intollerabile. Per gli infetti, medici e infermieri sono l’unico ponte con i parenti che stanno fuori. Martina, infatti, ha ricordato: “Non possono vedere i loro familiari, comunicano a gesti e quando mi chiedono di bere e gli tolgo la maschera, che serve per farli respirare, è come se vedessero il paradiso.

L’esperienza in ospedale

Martina Fasiello ha solo 24 anni e a pochi giorni dalla laurea, rigorosamente via Skype a causa dell’emergenza sanitaria, è già in servizio. Si tratta di “un’esperienza che mi ha cambiata tanto, un impatto emotivo fortissimo”, ha commentato. Per far fronte all’allarme Covid-19, la sua laurea all’Università degli Studi di Milano è stata anticipata di un mese e ha trovato lavoro dopo appena sette giorni. Ora è in trincea all’ospedale di Melegnano, comune di 18mila abitanti.

In pochi giorni si è trovata davanti a una sofferenza difficile da descrivere. Inquantificabile. Martina lavora in un reparto di terapia sub-intensiva con 24 posti letto, tutti malati Covid-19 “gravi, che hanno bisogno di ventilazione specifica”, ha fatto sapere a Open. La stanchezza, sia fisica sia mentale, si fa sentire, ma lei è decisa: “Voglio farmi le ossa”, vuole aiutare gli altri, “consolarli e assisterli, senza fare alcuna differenza tra giovani e anziani.

La laurea

Il 22 aprile era prevista la sua laurea, ma il bisogno di infermieri e personale sanitario l’ha costretta ad anticipare il grande traguardo di oltre un mese. In vista del 10 marzo ha “chiuso in fretta e furia la mia tesi sperimentale e quel giorno, nella stessa videochiamata su Skype, prima ho affrontato l’esame abilitante da infermiera e poi la laurea. Tutto in un’ora”. Giustamente ha confidato: “Devo essere sincera: che brutta sensazione non avere i genitori, gli amici e i parenti accanto, gli stessi che avevano già preso i biglietti aerei per il 22 aprile. Non era quello che volevo”.

Martina era bellissima ancor prima di indossare alla mascherina, elegantissima e affascinante nel giorno della sua laurea. “Non potevo presentarmi in pigiama, quello rimane il tuo giorno e io ero emozionatissima. Accanto a me, per fortuna, c’erano le mie zie che mi ospitavano nella loro casa in Brianza”, ha spiegato.

Coronavirus laureata

Dopo la laurea l’ex studentessa leccese si è iscritta all’Ordine delle professioni infermieristiche e quel pomeriggio stesso ha ricevuto la sua prima offerta di lavoro: contratto a tempo determinato, fino al 16 maggio, all’ospedale di Melegnano.Ora cerca casa, vuole diventare indipendente: In molti non volevano affittarmela perché faccio l’infermiera, proprio come succede ai medici. Forse hanno paura del contagi”.