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Fase 3 al via, la nuova normalità col Covid-19

Fase 3 nuova normalità

Con l'avvio della Fase 3 è inevitabile chiedersi che cosa abbiamo imparato da questa emergenza e come sarà la nuova normalità.

“Niente tornerà come prima”. “Tutto cambierà per sempre”. Quanti ne abbiamo letti di slogan imperativi e definitori, spesso non suffragati da adeguate cognizioni, sparati con la dichiarata intenzione di risuonare in maniera apocalittica e catastrofista nella testa del pubblico emotivamente più suscettibile. Ora ci siamo, il dopo è arrivato. E bene o male è già tornato tutto come prima, solo con la mascherina in volto. Dal 3 giugno, con la riapertura degli spostamenti tra regioni, via anche l’ultimissima limitazione di questi tre memorabili mesi di lockdown, cominciato ufficialmente la notte del 9 marzo. Il Coronavirus adesso è altrove a mietere vittime, in Sudamerica. Sembra già lontano. Ma “andrà tutto bene” non significa che sarà un successo “comunque vada”.

Fase 3: la nuova normalità

Anche nel calo complessivo degli indici del contagio, resta una sproporzione tra Nord e Sud. Eppure è da marzo e aprile arrivano video e foto da Napoli con spese selvagge, strade affollate, assembramenti sul lungomare e molti quartieri. Ed eravamo nel pieno delle fasi 1 e 2. E’ stata solo fortuna a contenere il Covid? Vero è che nel capoluogo campano regna il nemico De Magistris, ma la macchiettistica muscolarità esibita da Vincenzo De Luca a favore di webcam appare solo chiacchiere e distintivo. Da ultimo ha dato spettacolo addirittura il sindaco di Avellino: di lanciafiamme e droni manco l’ombra. Anche a Palermo abbiamo visto grigliate pasquali sui tetti, movida alla Vucciria, bagnanti ravvicinati a Mondello. Tante immagini, poche sanzioni.

Di contro a Torino è stato multato un barista mentre portava il caffè ai poliziotti del Monte dei pegni; a Genova un’infermiera che rientrava a casa a fine turno; a Pisa una nonna che ritirava il pacco aiuti per il nipotino di un anno; a Reggio Emilia un pensionato che comprava il giornale; a Rimini il mitico bagnante solitario. Certo pure Milano ha sgarrato: l’assalto ai treni dopo il decreto chiusura (che alla fine non ha impattato al Sud), la ressa sui Navigli alla riapertura, la pagliacciata dei gilet arancioni. Ma si contano sulla punta delle dita, e la Lombardia rappresenta comunque un mistero a parte che risolveranno scienziati e pm. Fatto sta che l’eccellenza e lo zelo settentrionale non ha evitato di costituire l’80% degli oltre 30mila morti e 230mila positivi registrati finora in Italia. Nonostante la quarantena soft, le regioni meridionali hanno ottenuto risultati di gran lunga migliori perfino degli altri paesi stranieri in cui l’infezione è dilagata: riuscirebbero a tirare avanti perfino senza turismo, secondo alcuni governatori patiti dell’auto sussistenza.

Minor densità di popolazione e inquinamento atmosferico? Si, anche Roma però ne è uscita indenne. Dati della Protezione civile farlocchi? Sarebbero aumentati almeno quelli Istat della media mensile di decessi e ricoveri rispetto agli stessi periodi del 2019. Molti virologi sostengono che il morbo abbia perso virulenza: per l’andamento a curva proprio di ogni epidemia, la progressiva immunizzazione delle persone, la ritrovata capacità di pronto soccorso e terapie intensive, la bella stagione, una serie di abitudini rimaste nei nostri giorni.

Che cosa cambierà?

Certo qualcosa deve cambiare e cambierà, ci mancherebbe. Purtroppo o per fortuna? In meglio o in peggio? Se non ci fermiamo ai titoli pulp e leggiamo, in verità sono quasi tutte buone notizie. Aumenterà dove possibile il telelavoro, più comodo, economico e produttivo dell’ufficio: un dipendente investito di fiducia, responsabilizzato nella sua autonomia, rende meglio senza il fiato sul collo di un capo che vale la metà. Un modo di lavorare che riduce traffico e inquinamento, in auge in paesi e aziende molto prima del Covid consentendo all’impiegato di organizzare meglio il menage domestico e al datore di risparmiare su affitti, assicurazioni infortunistiche, forniture e bollette. Pensioni e sussidi saranno accreditati online e andremo in banca su appuntamento, senza ingorghi e liti agli sportelli.

Sarà incrementata la didattica a distanza: anche questa è da tempo una realtà nelle scuole e negli atenei più informatizzati che viene incontro ai giovani disabili, agli studenti fuori sede che non possono permettersi affitti nelle grandi città, utile in caso di calamità naturali come allerte meteo o terremoti. Forse sarà abolito l’assurdo numero chiuso nelle facoltà di Medicina. Dottori e pazienti impareranno a scannerizzare ricette ed esami e inviarli via mail o sms, evitandoci di stare a spasso se non per piacere. Anche l’Ue dovrà fare autocritica, mettendo finalmente i cittadini davanti ai bilanci. Soprattutto dovremmo riuscire a farci trovare tutti più pronti – cittadini, istituzioni e autorità sanitarie – se il Covid si stagionalizzasse o quando arriverà un nuovo virus. Se è presto per un vaccino, almeno si perfezioneranno le cure. Siamo stati avvisati: se non ce l’hanno fatto capire se le costrizioni patite non ce lo farà capire più niente.

Cosa abbiamo imparato?

Intanto abbiamo imparato a lavarci le mani e a fare la coda, e non era scontato. Molti continueranno a usare la mascherina al di là dell’obbligo, faranno più attenzione alla pulizia personale e degli ambienti. Forse qualcuno ha capito addirittura l’importanza di pagare le tasse per trovare un letto in ospedale. Magari riuscissimo a portarci appresso più educazione e meno furbizia nella Fase 3: regole del vivere comune e solidale che avrebbero dovuto informare “normalmente” il nostro comportamento. La vecchia normalità da cui emanciparci sono le inchieste sulle Rsa, le truffe sulle mascherine, gli scontri politici interni perfino alla maggioranza in piena epidemia, l’accoglienza a Silvia Romano.

La corruzione, la campagna elettorale permanente, le gogne social: tante cose non sono cambiate, incattivendosi anzi durante l’emergenza. Spie del pericolo di una trasformazione in peggio, ma di noi stessi. Non delle infrastrutture di cui ci circondiamo: ingressi contingentati, distanze di sicurezza e file indiane finiranno grazie alle logistiche digitali; spiagge e ristoranti hanno già ripreso ad animarsi, e presto anche cinema e palestre. Torneremo a baciarci sulla guancia per salutarci, com’è accaduto dopo le altre pandemie affrontate dall’umanità: la natura dell’uomo è sociale, non sarà l’abbraccio o la stretta di mano ciò che perderemo.

Che cosa ci attende?

Ci attende un compito più arduo, che reclama uno sforzo maggiore: metterci in discussione, modificare il nostro stato d’animo verso la collettività, correggere la disposizione verso il prossimo da ideologica e aggressiva a inclusiva, empatica, paritetica. Perché la classe dirigente che verrà rifletterà il nostro sentimento attuale. Piccoli atteggiamenti, che racconterebbero però di una trasformazione profonda. Il rispetto per mestieri umili ma essenziali e missioni come quelle di medici, infermieri e insegnanti, che guadagnano un centesimo di quelli che potrebbero diventare ex idoli: calciatori, divi, showman, influencer.

Iniziamo a fare in modo che la novità, nella nostra quotidianità, sia anche sorridere con gli occhi a un passante e non risparmiare – dopo aver riscoperto l’importanza degli affetti nell’isolamento – un abbraccio o una telefonata a chi vogliamo bene e ci manca, anziché rimandarla a compleanni e feste comandate. Dopo la strage a cui abbiamo assistito la metamorfosi è un obbligo morale ancor prima che politico e deve rappresentare un guadagno nello stile di vita, non un’ulteriore perdita di diritti e doveri. Dobbiamo approfittare di questa tregua per renderci conto della precarietà in cui versano milioni di lavoratori, dipinta da tanti pifferai come una maniera di vivere allegra e moderna; capire quanto ci tuteli il pubblico, descritto come un bubbone da sgonfiare. Sviluppiamo una coscienza civica e spalanchiamo gli occhi sulle vere priorità della prossima agenda politica: ripartiamo da noi e cambieranno anche gli altri, sarà questa la nuova normalità.