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Egy Cutolo: "Per anni ho visto tutto nero, ora so che questa sono io e non c'è niente di sbagliato"

Itervista a Egy Cutolo

La stilista e designer Egy Cutolo, al secolo Egidio, racconta la sua storia in un'intervista a Notizie.it, dal percorso di transizione alla fondazione della sua scuola di moda.

Ci sono storie che è bello ascoltare e quasi un dovere raccontare. Storie a cui, dopo averle sentite, non puoi fare a meno di dare voce, perché spalancano la porta su un mondo a cui non hai mai prestato sufficientemente l’orecchio e perché lanciano un messaggio tanto importante quanto sottovalutato: quello che sei non è mai sbagliato e non devi chiedere scusa.

È il caso di Egidia Francesca Cutolo. Un nome che Egy pronuncia fiera, perché da qualche anno non deve dare più spiegazioni, non deve giustificare perché il suo aspetto non corrisponde a quello che un tempo c’era scritto sulla carta di identità: Egidio. La storia di Egy è una storia di rinascita e di liberazione da un involucro – quello del corpo – che faceva a pugni con la sua anima, attraverso un intervento che l’ha resa totalmente e legalmente donna.

Ma dietro al suo percorso di transizione c’è tanto altro. C’è una famiglia dalla rara sensibilità e intelligenza che ha saputo accogliere, comprendere, amare. C’è un marito che fin dal primo istante ha capito che la sua compagna di vita era speciale e non si è mai lasciato convincere del contrario. C’è la forza di una giovane imprenditrice che vuole aprire ai ragazzi e alle ragazze della sua terra le porte del mondo della moda attraverso un’accademia accessibile a tutti. Egy Cutolo ha raccontato questo e molto altro in un’intervista a Notizie.it.

Intervista a Egy Cutolo: la transizione

Quando hai capito per la prima volta che non ti sentivi Egidio, ma Egy?

Una vera e propria prima volta non c’è mai stata, credo di averlo saputo fin dall’infanzia. Ricordo che provavo un grande senso di angoscia, di ansia, di confusione che non vedevo negli altri bambini. Ero affascinata dai giochi delle bambine, dalle Barbie, fin dai 4-5 anni. La consapevolezza è arrivata in modo molto graduale.

egy padre

Che ruolo ha avuto la tua famiglia nel tuo percorso?

Sono stati tutti molto coesi. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, mio fratello è stato il primo a capire e a farlo comprendere agli altri. Le mie sorelle erano molto preoccupate, anche se non mi hanno mai detto che stavo sbagliando. Mio fratello invece aveva una maggiore conoscenza della “vita da strada”, era a contatto con tanti tipi di persone diverse e sapeva che il mondo è fatto di molte sfaccettature . Diceva: “Questa è la tua natura”. Lui lo sapeva quando io ancora non ero al cento per cento cosciente di me stessa. La mia auto accettazione è stata graduale, molto graduale. Per tanti anni ho combattuto con me stessa più che con gli altri. Poi, verso i 22-23 anni, mi sono detta: basta, questa è la mia vita, questa sono io, non c’è niente di sbagliato.

Tua madre, invece, come ha reagito?

Nessun figlio arriva col libretto delle istruzioni, figurati un figlio che a un certo punto evolve in un certo modo diverso da quello che ti aspetti. Mia madre, una madre tipica del Sud, ci ha messo un po’ di più, ma alla fine anche lei ha capito. Però all’inizio è uno shock, non posso dire che non lo sia. Comunque non ho remore, è tutto passato e ho vissuto appieno la mia vita anche col suo appoggio.

egy con mamma e sorelle

Ci sono stati amici che si sono allontanati a causa del tuo percorso?

Ovviamente. Tra i 12 e i 15 anni ero molto amica di un gruppo di ragazzi, avevo anche una cotta per uno di loro. In quel periodo stavo evolvendo soprattutto per quanto riguarda lo stile. Cominciavo a vestire in modo più androgino e i miei amici se ne accorsero. Quando comprai le scarpe Buffalo loro mi dissero: “Ma che ti sei messo? Sono scarpe da donna”. E io: “Ma che stai dicendo, sono unisex, è una nuova moda inglese”. Inventavo queste storie per giustificarmi, finché un giorno non ho detto a quel ragazzo che mi piaceva: “Io non mi sento Egidio, mi sento Egy”. Non mi hanno neanche più salutata per vent’anni.

Pensi che questa “chiusura” sia attribuibile anche al fatto che vivevi in una piccola realtà?

Ogni mondo è paese e devo dire che anche Sarno era già una comunità all’avanguardia, c’erano gruppi di ragazzi con una forte identità. In tanti se ne fregavano della mia “diversità”. Sono contenta di non essermi mai nascosta, mi sono sempre mescolata con tutti, proprio per far comprendere che esistono anche persone come me, anche se all’epoca non conoscevo nessun’altra trans. All’inizio è stato proprio difficile far comprendere che esisteva la donna transessuale. La gente non capiva, conosceva solo l’omosessuale e l’uomo che si vestiva da donna, il travestito. Il concetto di persona che va alla ricerca di se stessa, che vuole essere donna in tutto e per tutto, sia esteticamente che interiormente che sessualmente, era una cosa sconvolgente. Pensavano fosse fantascienza.

Hai vissuto a Milano per dieci anni. Lì hai trovato una realtà diversa?

Vivere in città mi ha fatto bene soprattutto perché lì ho conosciuto tantissime mie simili e ho capito che non ero l’unica. Pian piano in quegli anni tutte le amicizie false si sono auto estinte. Però c’erano anche persone cattive che mi apprezzavano pubblicamente e dietro me ne dicevano di ogni…

Per esempio?

Ricordo che una sera d’estate ero in un bar con un gruppo di amiche, a Sarno. A un certo punto si avvicina un ragazzo, si siede accanto a me, mi offre un drink e iniziamo a parlare, ci scambiamo i numeri di telefono. Mentre stavo tornando a casa mi arriva un suo messaggio: “Potevi anche dirmi che sei una trans”. Io gli risposi: “Ma era una cosa che dovevo dirti io o dovevi chiedermi tu? Comunque sono contenta che te ne sei accorto così non ho dovuto dirti niente”. Lui: “Non me ne sono accorto, è stata una ragazza che quando sei andata via mi ha chiamato e mi ha spiegato la sua storia, un po’ col sorrisino, come per ridere del fatto che stavo facendo la corte a una trans”. Indagando poi ho scoperto che questa ragazza era addirittura una mia parente, ancora peggio.

egy e marito

Oggi sei felicemente sposata con Carmine. Come ha reagito lui quando ha scoperto il tuo percorso?

Ci siamo conosciuti su Facebook. Lui mi colpì subito perché era diverso dagli altri uomini che avevo conosciuto, era molto timoroso e rispettoso. Ci stavamo organizzando per uscire insieme, ma avevo capito che non sapeva nulla della mia storia, così gli inviai il video della puntata del 2013 dei Dieci comandamenti (il programma di Domenico Iannacone in cui Egy ha raccontato la sua storia, ndr). Appena finito il video mi rispose: “Confermo l’uscita. Già pensavo che fossi una persona speciale, ora ne ho la certezza“.

C’è stato qualcuno che ha cercato di impedire la vostra relazione?

Certo, i pettegolezzi e gli attacchi sono iniziati subito, fin dal nostro primo appuntamento. A Carmine scrissero in molti per prenderlo in giro. Spesso si trattava di persone che fino a poco tempo prima mi contattavano per chiedermi di uscire. Col tempo lo vidi sciuparsi, era affranto per questi continui attacchi. Per evitare che subisse tutto questo scelsi di scomparire: andai da un’amica a Napoli e iniziai a lavorare in un bar. Dopo qualche giorno lo vidi entrare nel bar, mi aveva rintracciato tramite un’amica. Abbiamo parlato e abbiamo capito che stavamo soffrendo entrambi. Da lì non ci siamo più lasciati.

Lui ti è stato accanto anche quando hai fatto l’operazione.

Sì, assolutamente. Quando ho fatto l’intervento stavamo insieme da un anno, ma non l’ho perché me l’aveva chiesto lui. Avevo già aperto le pratiche da tempo e aspettavo l’ok dai giudici e dagli avvocati. Una procedura lunghissima, alla fine sono stata costretta a spendere molti soldi per andare all’estero. Carmine è stato accanto a me tutto il tempo.

Cos’hai provato dopo l’intervento?

Mi ha cambiata completamente. Inizi a cambiare quando inizi le cure ormonali, ma l’operazione ti stravolge, soprattutto psicologicamente. Devo dire la verità, all’inizio è stato un trauma, sia perché ho avuto una complicazione (sono dovuta restare a riposo per mesi e ho dovuto fare un secondo intervento) sia perché improvvisamente hai a che fare con una parte di te che non conosci. Certo, la conosci perché l’hai studiata, l’hai vista nei film, nei libri di anatomia, ma averla è diverso. Ma soprattutto mi sono sentita come se avessi un cervello nuovo. Ho cominciato a svegliarmi sempre serena, mi sentivo finalmente quello che, dentro di me, sapevo di essere sempre stata. Mi ha cambiato anche la sensibilità: ora se guardo un film mi scappa sempre la lacrima. Non me ne sono mai pentita, anzi, se tornassi indietro lo farei anche prima. Ma l’intervento mi ha aiutato soprattutto nelle cose pratiche, quotidiane, direi quasi burocratiche.

In che modo?

Il lato sessuale dell’intervento non mi interessava più di tanto. Volevo diventare legalmente Egidia soprattutto per poter esibire tranquillamente un documento di identità. In un certo senso facendolo l’ho data vinta alla società, ma volevo poter andare in banca e in posta senza avere problemi. Ricordo che una volta, quando ero a Milano, suonarono al citofono per consegnare un pacco al signor Egidio Francesco Cutolo. Scesi a ritirarlo, ma il fattorino mi chiese se ero la sorella o la fidanzata. Quando gli dissi che ero io pensava che lo stessi prendendo in giro, non mi voleva lasciare il pacco. Sono dovuta tornare in casa, prendere la carta di identità e fargliela vedere. Era anche un ragazzo giovane, possibile che non sapesse che esistono persone come me?

Potrei fare mille esempi. Un anno ci furono le elezioni comunali e andai a votare con Carmine. Mi ero già rifatta il seno ed esteticamente ero in tutto e per tutto una donna. Quando sono entrata al seggio la scrutatrice che doveva occuparsi delle elettrici donne mi sorrise e mi fece segno di andare verso di lei. Mi stavo avvicinando quando sentii un uomo della sorveglianza urlare: “Lui è un maschio, deve dare i documenti all’altra, non a te“. Lo disse ad alta voce davanti a tutti. È stato brutto.

egy carmine matrimonio

Se potessi dare un consiglio alla giovane Egy, cosa le diresti?

Le consiglierei di credere di più in se stessa, di ponderare meglio la scelta delle amicizie (ero una persona che si fidava tanto, da subito), di prendere più decisioni con la sua testa e non su consiglio di altri. E di vedere meno buio. Ci sono stati anni in cui ho visto tutto nero, anche se non sembrava perché mi mostravo sempre sorridente, ma avevo il buio dentro. Ma a parte questo non cambierei una virgola, rifarei tutto quello che ho fatto.

Oggi c’è ancora ignoranza e confusione sul mondo trans?

Adesso si conosce questa fetta di mondo. Lo vedo anche nel lavoro che svolto: nel settore moda c’è stata una grandissima apertura verso il gender e il fluid gender, in generale verso canoni di bellezza che sono diventati fluidi. Oggi il problema non è l’ignoranza ma la discriminazione. Per alcuni saremo sempre uomini che giocano a fare le donne. Ho persino sentito un noto psicologo dire in televisione che la transessuale non è altro che un uomo riempito di plastica e ormoni. Vedere un uomo di scienza sostenere una simile tesi su una rete nazionale per noi è un danno enorme. Per non parlare della violenza gratuita, basti pensare alla tragedia di Caivano. Perché una persona non può vivere la sua vita come vuole? Dall’altra parte credo anche che stiamo assistendo a un’apertura un po’ troppo enfatizzata, da parte di alcune persone, che a me sa di falsità.

In che senso?

Io non amo il troppo, in ogni ambito. Scorrendo TikTok vedo molti ragazzi fuori da ogni schema. Hanno perso il senso del pudore e questo è un guaio perché nel momento in cui diventi caricatura di te stesso e caricatura del mio mondo questo diventa un problema anche per me. Già è difficile far capire la nostra realtà alla gente, figuriamoci se poi vedono determinati esempi ridicoli, sciocchi, magari anche simpatici ma che ridicolizzano il nostro mondo. Lo stesso vale per alcune trasmissioni che portano in televisione sempre un certo tipo di trans: stereotipate, esagerate, spesso e volentieri escort… Non che ci sia niente di male, ma il risultato è che lo spettatore (magari un padre di famiglia vecchio stampo) che le vede automaticamente pensa che le trans siano tutte fatte in quel modo. Purtroppo siamo bombardati da questi canoni.

egy stilista

La carriera e la scuola di moda

Oggi sei un’affermata designer, hai lavorato in diverse aziende, anche internazionali. Nel corso del tuo percorso di studi e di lavoro hai mai subito discriminazioni?

Sì, fin dall’università. All’epoca avevo 23-24 anni. Dovevo fare un colloquio conoscitivo con l’ufficio placement che mi avrebbero poi messo in contatto con le aziende. Non avevo ancora iniziato la cura ormonale ma vivevo già al femminile, il mio aspetto non è molto diverso da quello di adesso. All’ufficio placement mi fu detto esplicitamente di presentarmi ai colloqui vestita da uomo (mi dissero che potevo assomigliare a Ronaldinho). Mi spiegarono che le case di moda non erano tanto aperte a persone come me, la società non era ancora pronta… Insomma, mi fecero capire che per le persone come me non c’era posto. Andai via in lacrime.

In azienda è andata diversamente?

In tante realtà ho trovato un’accoglienza incredibile, ma ho il sospetto che altre non mi abbiano preso proprio a causa della mia storia. Ti faccio un esempio. Lavoravo per una nota azienda campana e c’era un ragazzo del reparto grafica che non aveva simpatia per me. Ha trovato la mia carta di identità su cui c’era scritto il mio nome di battesimo: Egidio Francesco Cutolo. Ha fatto una gigantografia e l’ha appesa al muro dell’ufficio. Poi si è giustificato dicendo che avevo un colore di capelli talmente assurdo – all’epoca ero bionda platino – che doveva farlo vedere a tutti, ma era chiaro che il motivo non era quello. Voleva far capire che, legalmente, ero un maschio. Un’azione cattiva fatta da un piccolo uomo.

Nonostante le difficoltà e le discriminazioni, negli anni hai costruito una brillante carriera e sei arrivata ad aprire la tua scuola di moda proprio a Sarno, la tua città. Com’è nato il progetto?

Nel 2009, dopo la laurea, sono tornata in Campania. In questa zona ci sono moltissime aziende di fast fashion, ho trovato terreno fertile e mi sono chiesta: ma com’è possibile che proprio qui che c’è tanto fermento, dove le aziende cercano sempre nuove figure professionali, non esiste un’accademia? Sì, c’è quella a Napoli, ma è molto costosa: le rette esagerate impediscono l’accesso a ragazze e ragazzi di estrazione sociale più umile. Allora ho deciso di mettere su un piccolo istituto di moda, l’Istituto Formazione Moda e Design. È il sogno di una vita: una donna trans che fa anche imprenditoria. La vittoria più grande per me è stata ricevere una mail da due ragazzine che hanno iniziato il mio stesso percorso: studiano in un istituto di moda ma vogliono venire da me perché lì si sentono discriminate.

I corsi sono già attivi?

Purtroppo appena sono riuscita a terminare l’edificio è scoppiata la pandemia quindi, nonostante abbia già ricevuto diverse richieste, i corsi non sono ancora cominciati. Stiamo aspettando di capire come evolve la situazione. Io sarò, oltre che la direttrice, l’insegnante di disegno e disegno digitale. Poi ci saranno corsi di storia del costume, modellistica e confezione. Più avanti vorrei inserire anche corsi di 3D, marketing e business.

C’è un tragardo professionale di cui ti senti particolarmente fiera?

L’anno scorso ho vinto un premio al talento delle persone trans. La cerimonia di premiazione, la T Celebration Night, si è tenuta nell’aula magna del Politecnico di Torino. È stata un’esperienza bellissima. È davvero emozionante ricevere un premio per quello che fai e non per quello che sei.