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Emanuela Orlandi, caso riaperto: Vaticano avrebbe speso 483 milioni per allontanarla

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Incredibile svolta nel caso di Emanuela Orlandi, adolescente 15enne scomparsa nel 1983. Pare che il Vaticano l'abbia allontanata in Inghilterra, almeno fino al 1997.

Un caso indimenticato si riapre

Si riapre il caso Emanuela Orlandi, a ben 34 anni di distanza dalla scomparsa dell’allora 15enne ragazza. Un dossier pubblicato su un libro-inchiesta presenta un’agghiacciante svolta nella faccenda: il Vaticano avrebbe pagato 483 milioni per allontanarla a Londra.

L’autore è il giornalista Emiliano Fittipaldi, che su Facebook ha dato qualche anticipazione.

Post su Facebook di Emiliano Fittipaldi

Emiliano Fittipaldi scrive sul social network: «Ho trovato un documento uscito dal Vaticano. Ci ho lavorato mesi, e ho pubblicato un libro, “Gli impostori”, che uscirà tra qualche giorno. Il documento choc è un riassunto di tutte le note spese per un presunto “allontanamento domiciliare” di Emanuela Orlandi. La ragazzina che viveva nella Santa Sede scomparsa nel 1983. Leggendo il resoconto e seguendo le tracce delle uscite della nota, che l’estensore attribuisce al cardinale Lorenzo Antonetti, sembra che il Vaticano abbia trovato la piccola rapita chissà da chi, e che abbia deciso di «trasferila» in Inghilterra, a Londra. In ostelli femminili.

Per 14 anni le avrebbe pagato «rette, vitto e alloggio», «spese mediche», «spostamenti». Almeno fino al 1997, quando l’ultima voce parla di un ultimo trasferimento in Vaticano e «il disbrigo delle pratiche finali».
Delle due l’una: o il documento è vero, e apre squarci clamorosi e impensabili sulla storia della Orlandi. O è un falso, un apocrifo che segna una nuova violenta guerra di potere tra le sacre mura. Ma chi può aver costruito un simile resoconto? La mia inchiesta, anticipata da Repubblica e L’Espresso».

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Il dossier celato

Un nuovo, inquietante sviluppo segna il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi. La giovane sparì a Roma il 22 giugno 1983, e non è mai stata ritrovata. Il dossier ci mette di fronte ad un terribile scenario: le gerarchie ecclesiastiche potrebbero aver avuto una parte decisiva fine della giovane ragazza 15enne, a questo punto forse morta nel 1997. Sono elencate tutte le spese (aggiornate fino a 20 anni fa) che sarebbero state sostenute Oltretevere proprio per gestire la vicenda.

Tuttavia, l’esame del carteggio non fornisce alcun riscontro che si tratti di un documento originale. Non c’è nessun timbro ufficiale, che ne farebbe una prova schiacciante. Appare però verosimile che venga utilizzato nell’ambito dei ricatti incrociati che hanno segnato la vicenda Vatileaks.

La famiglia Orlandi torna a chiedere alla Segreteria di Stato di «sgomberare il campo da ogni dubbio» e, attraverso le avvocatesse Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgrò chiede di «avere accesso a tutti i documenti e comunque poter incontrare il segretario di Stato Pietro Parolin: il caso non è e non può essere chiuso».

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Sviluppi dal 2014

Si ritorna alla notte tra il 29 e il 30 marzo 2014, momento in cui viene scassinata la cassaforte che si trova nella Prefettura vaticana, e contenente l’archivio della commissione Cosea, della quale facevano parte monsignor Balda e Francesca Chaouqui, entrambi finiti sotto processo con l’accusa di aver diffuso documenti segreti riguardanti le finanze del Vaticano.

Durante le indagini su Vatileaks, il promotore di giustizia della Santa Sede interroga il capo ufficio monsignor Alfredo Abondi che afferma a verbale: «Nella sezione riservata della Prefettura venivano conservati i documenti sulla sicurezza e sulle situazioni rilevanti relative all’Amministrazione. Nei giorni successivi al furto nel dicastero ci fu recapitato un plico con i documenti sottratti». Non entra nel dettaglio ma afferma che «si tratta di materiale che riguarda pratiche risalenti a 10 o anche 20 anni fa». Non molto tempo dopo, comincia a circolare l’indiscrezione che tra quei dossier ce ne sia anche uno sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Sei mesi fa Pietro, il fratello di Emanuela, rilancia questa possibilità, ha parlato di «cinque fogli, mostrati anche a Papa Francesco che proverebbero che non sarebbe morta subito, perché datati fino al 1997». È la documentazione che viene adesso fatta circolare. Si intitola «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi».

Documento datato 1998

Il compromettente documento è datato 28 marzo 1998, firmato dal cardinale Lorenzo Antonetti, all’epoca presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della sede Apostolica, e indirizzato al sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato il cardinale Giovanni Battista Re e al sottosegretario Jean Louis Tauran. Sono elencate spese per quasi 500 milioni di lire sostenute tra gennaio 1983 e luglio 1997. L’ultima somma versata ammonta a 21 milioni di lire per «attività generale e trasferimento presso città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali».

Le «voci» e i relativi pagamenti accreditano la possibilità che la giovane sia stata ospitata in alcuni conventi e appartamenti in Italia e all’estero, ricoverata in almeno due strutture sanitarie in Gran Bretagna, trasferita più volte. Afferma che una parte dei soldi è stata versata a «fonti investigative», e cita il pagamento per l’attività relativa a un episodio di «depistaggio».

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Verità o depistaggio?

Il documento — dattiloscritto con un carattere risalente a vent’anni fa — contiene nomi e luoghi realmente esistenti, parla dell’attività investigativa svolta anche dall’allora responsabile della gendarmeria, si riferisce ad «allegati» su «quantità di denaro autorizzate e prelevate per spese non fatturate». Il fatto che la prima data sia gennaio 1983, cioè sei mesi prima della sparizione, sembra dar forza all’ipotesi che Emanuela fosse sotto il controllo del Vaticano già da quel momento. Potrebbe trattarsi di un documento che contiene circostanze reali, fatto circolare proprio da chi continua ad esercitare il proprio potere di ricatto contro le gerarchie ecclesiastiche, visto che mai è stato fugato il sospetto sul loro ruolo in questa vicenda.

Oppure un depistaggio. «In ogni caso — affermano le due avvocatesse — la famiglia ha diritto a ottenere chiarimenti e per questo torniamo ad appellarci direttamente a papa Francesco affinché voglia ascoltare la loro supplica. Lui stesso ha detto che “la verità non si negozia”».