> > Né cannoni, né colombe all'Ariston, stay light Ama

Né cannoni, né colombe all'Ariston, stay light Ama

Sanremo

Sanremo è alle porte e da giorni imperversa la polemica sulla presenza di Zelensky in collegamento.

La decisione di mandare in onda per l’undici febbraio a Sanremo un intervento registrato da Volodymyr Zelensky ha innescato un equivoco su cui vale la pena riflettere, giusto per mettere in tacca di mira una polpa travestita da buccia.

Si tratta di un equivoco che ricalca perfettamente il tormentone degli ultimi mesi, roba poco musicale che rimanda alla cacofonia della peggiore fra le follie umane: la guerra ha una sua casa, e la casa della guerra è l’orrore di chi la vive e la coscienza di chi l’ha scelta come mezzo di risoluzione di una controversia.

In pulviscolo cognitivo poi la guerra ha casa nei sistemi complessi che si occupano di informare l’uomo della sua innata vocazione ad essere cretino.

Che significa? Che la decisione di Amadeus di accogliere la richiesta del presidente ucraino per un’ospitata da remoto all’Ariston viaggia su due binari sbilenchi e sdruccioli.

Il primo è quello per cui ci si chiede se sia opportuno accostare una cosa “light” come Sanremo alla macelleria ucraina. Il festival è per eccellenza contenitore beota di robine leggere e potabili, di polemiche sui look, di rumors sulle canzoni immeritevoli o viceversa e di boati sulle giurie demoscopiche.

Sanremo questo è: paillettes, mood scemo e musica che a volte ma non tanto spesso scema non è, perciò chiedergli di essere di più sarebbe come pretendere di mandare la Rettore al G20.

Insomma, Sanremo funziona perché all’attualità concede fette di attualità risicate e sempre concettuali e lo fa perché senza troppo scomodare il pentagramma al centro il festival ci mette il lato frivolo della vita ed un certo genio italico stantio che almeno male non fa.

Certo, negli anni non sono mancate lardellature furbe a tema sociale – come dimenticare Baudo che camomilla Cavallo Pazzo? – ma sempre secondo quel mood sornione per cui poi si tornava alla musica ed agli scazzi sul look dell’artista più maledetto o sui plagi.

Ma la guerra e chi pur essendone vittima di fatto ne è anche pervicace totem sono un’altra cosa. La guerra totalizza, massifica, non resta parte di un tutto che ne disinnesca la cupezza ma prevale è “guasta” il concertato, come diceva Giovannino Guareschi. E fa anche altre cose che ci portano al secondo motivo, più sottile.

La guerra crea antinomie ed è facile, nel manicheismo spinto tricolore, che fra quanti storcono il naso sulla presenza di Zelensky a Sanremo ci siamo quelli che nel festival ci vorrebbero più pace e meno orrore. Cioè, il principio passa per “Il mio nome è mai più” come prova provata che Sanremo di questo dovrebbe trattare, dell’anti guerra.

Ed è sbagliatissimo anche quello perché il vero problema non è quale messaggio etico debba venire da Sanremo, ma riconoscere che Sanremo in purezza di etico non dovrebbe avere nulla e che questo nulla ha un suo perché, basta tornare a sapercelo vedere.

Amadeus ha il suo lavoro da fare e il suo lavoro è brandizzare il prodotto televisivo italiano di eccellenza su intrattenimento e musica (la seconda ormai non più prima) però non esageriamo Ama, stay ligth, alla storia ci passerai anche solo con Grignani spoilerato, solo che sarà una storia un po’ più piccina.