Un puzzle sull’orlo dello sgretolamento: sulle tracce del Partito Democratico. Non si parla di un’uscita (o più) dal partito – come furono quelle di Pier Luigi Bersani e di Matteo Renzi –, ma di una vera e propria scissione: riformisti e cattolici che lasciano la residenza del Nazareno per dirigersi verso un nuovo terreno fertile del centro che sappia accogliere, insieme a Calenda, Renzi e Moratti, anche gli (ex) dem. Vero o no, è senz’altro verosimile.
Pd, un quadro problematico
Tre le guerre interne al partito: cattolici vs. riformisti, Pd vs. ex DS (Democratici di Sinistra) ed Elly Schlein vs. Vincenzo De Luca. Massiccio è il dissenso attorno a Stefano Bonaccini e per la prima volta la Direzione non ha votato interamente il documento della segretaria Elly Schlein. Insomma, se è vero che l’unione fa la forza, il Partito Democratico è in uno stato di estrema debolezza. Se lo spostamento a sinistra dell’asse politico del partito – in parte necessario dopo anni di filocentrismo – non è stato particolare gradito dai dem, la sostituzione di una linea politica definita con un mero presenzialismo e un massimalismo sui temi civili che è durato meno di un fuoco di paglia ha generato dissensi di gran lunga meno superabili.
La necessità di alleanze
Benzina sul fuoco dei riformisti: Elly Schlein alla manifestazione sul lavoro del Movimento 5 Stelle, spiazzata sia dall’intervento sul palco del resuscitato Beppe Grillo su «passamontagna e brigate di cittadinanza» sia dell’uscita di Moni Ovadia contro la «Nato dei buffoni». La necessità di alleanze espressa da Schlein per via della non autosufficienza elettorale del Pd è un dato di fatto e l’appiattimento del partito sulle posizioni pentastellate ne è la prima conseguenza.