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Perchè quel Tapiro ad Ambra Angiolini fa schifo

tapiro d'oro ad ambra angiolini

No, non è uno scivolone, perché gli scivoloni sono eccezioni ma le cappellate di Striscia - piaccia o meno a chi la segue - stanno diventando regola.

Con le lordure del machismo ammiccone Ambra Angiolini sembra essere una specie di predestinata: quando era in squadra con Boncompagni le tatuarono addosso per decenni il marchio della Lolita scardinata dalla cameretta coi poster e adesso che è donna fatta quel destino gramo di dover incontrare sempre gente catodica tamarra non l’ha voluta abbandonare. Ovviamente non è colpa del Destino ma del fatto molto più semplice che la gente tamarra in TV prolifera e fa massa critica, però quel retrogusto da spleen resta tutto.

Resta e pompa acido nello stomaco anche a contare un’altra cosa: che ormai da tempo la formula Ricci è stantia e che le differenze fra motivo e movente saltano all’occhio come uno scarafaggio su una torta alla panna. Lo fanno come quando Brumotti fa il messia che combatte lo spaccio ma che senza spacciatori non sarebbe Brumotti. O come quando Staffelli consegna i suoi Oscar delle gaffes sbagliando gaffeur e puntando alla giugulare la parte più appetibile dell’equazione televisiva, nel caso di specie Ambra.

Perché per Definizione, Protocollo, Dogma e Norma il Tapiro d’Oro lo si consegna in gloria di share a chi ha fatto una cazzata e in virtù della medesima dovrebbe sentirsi come minimo “attapirato”, a voler usare uno dei neologismi più brutti della storia dell’uomo. E se perciò tu Staffellone consegni il tapiro ad Ambra Angiolini che è stata tradita dal suo uomo invece di consegnarlo al suo uomo che ha tradito fai passare le solita linea da pelo sul petto e dopobarba al petrolio per cui l’uomo che tradisce è un figo e la donna tradita è una mezza reietta.

Una che magari ci si deve fare pure una mezza risata, sulla graticola segreta suo cuore schiantato ma inquadrato in cam dopo l’agguato di turno. Una che non ha difficoltà a reggerti il gioco perché un po’ “je tocca” e un po’ deve intuire la goliardia della cosa e non provarci neanche, a dirti “ma quanto sei cafone, Valè”.

Qui i piani di cappellata attiva e gagliarda sono due: il primo, insinuante e crotalo, che ha invidiato nella tradita la parte perculabile. Poi il secondo, grossolano e primevo, che individua in un tradimento, cioè in un fatto personalissimo, la camola per un siparietto televisivo standardizzato con cui far ridacchiare il Fruitore Finale.

Chi? Il maschiume catodico che nel dopocena si pesca nel pigiama e si ravana pigro il pacco in poltrona succhiandosi il polpettone via dai denti. Una roba mesta e brutta che non è scivolone perché gli scivoloni sono eccezioni, e le cappellate di Striscia – piaccia o meno a chi la segue – stanno diventando regola e – per chi le fa – tegola.