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In Puglia ha vinto il migliore tra due cattivi governatori

elezioni regionali puglia 2020

“Turiamoci il naso e andiamo a votare” è il mood che ha contraddistinto l’elettorato di entrambi gli schieramenti alle regionali in Puglia.

Quasi dieci punti di distacco. A urne chiuse, le preferenze regalano a Michele Emiliano altri cinque anni alla guida della Regione Puglia, con una forbice che nessuno si sarebbe aspettato all’apertura dei seggi. È la prima, grande sorpresa di un’elezione atipica, in cui vigeva un’unica certezza: la battaglia contro Raffaele Fitto – il volto scelto dalla coalizione di centrodestra – sarebbe stata sul filo della singola scheda. Invece il governatore uscente ha saputo ribaltare i pronostici, che spesso lo davano perdente per una manciata di voti contro un altro volto noto della politica regionale, quel Fitto che nel 2000 era già approdato alla guida della Regione, dopo essere stato eletto al Parlamento Europeo e prima di diventare ministro nel Governo Berlusconi. “Com’è potuto accadere un tale ribaltone?” Si chiederà qualcuno. La verità è che il centrodestra in Puglia ha perso proprio perché ha puntato sull’usato sicuro: non è bastato scegliere un ‘cavallo di razza’, perché i pugliesi non hanno dimenticato tutti gli sfaceli degli anni di Fitto governatore, e come una valigia pesante, il passato ha rallentato la corsa del politico salentino allo scranno più alto della Regione.

Eppure la strada sembrava spianata, visto che Emiliano ha dovuto fare anche i conti con il fuoco incrociato degli altri avversari politici: il Movimento 5 Stelle – rappresentato da Antonella Laricchia – e i renziani di Italia Viva – con Ivan Scalfarotto – che non hanno accettato l’invito a salire sul carro della coalizione di centrosinistra, portando via quel tesoretto di voti che al governatore avrebbero assicurato un cammino più agevole. Anche la scelta di un nutrito numero di liste a supporto della candidatura (15, tre volte più di Fitto) e l’improvvisa abbuffata di assunzioni nella Sanità pubblica (tanto da meritarsi un paragone con Cetto La Qualunque coniato da Giorgia Meloni) erano indizi del timore dell’ex magistrato di non riuscire a superare la prova delle urne. Una scelta per i renziani, quella di non sotterrare l’ascia di guerra e stringere la mano tesa del governatore, che si è rivelata sbagliata: la soglia di sbarramento per l’accesso al Consiglio regionale sembrava un ostacolo insormontabile sin dall’avvio della campagna elettorale.

Cosa ha salvato Michele Emiliano allora? In primis la mancanza di una vera alternativa politica. Il centrodestra sarebbe dovuto ripartire da un volto nuovo, magari con meno voti assicurati alla vigilia, ma capace di non spostare la competizione sulla scelta del ‘migliore tra due cattivi governatori’. Già, perché era questa la visione del popolo alla vigilia delle Regionali: bastava parlare con i pugliesi per accorgersi che un ritorno di Fitto non era un’ipotesi capace di infiammare né gli animi degli elettori di centrodestra né quelli dei delusi del centrosinistra. “Turiamoci il naso e andiamo a votare” è il mood che ha contraddistinto l’elettorato di entrambi gli schieramenti. E forse anche il timore di un “ritorno alla preistoria con il centrodestra” – come lo ha definito un altro volto noto della politica pugliese, Nichi Vendola – potrebbe aver fatto scegliere a tanti pugliesi il voto disgiunto. Proprio quello evocato da Michele Emiliano nel tentativo di rosicchiare qualche preferenza alla terza protagonista di questa tornata elettorale, quell’Antonella Laricchia a cui va dato il merito di aver tenuto sempre la barra dritta, anche quando dal partito le indicazioni erano diverse e più fumose. Un atteggiamento che sembra aver ripagato: il Movimento è il terzo partito in Puglia e si prepara a ancora per 5 anni a fare il ruolo del leone nell’opposizione tra i banchi del Consiglio regionale. Se nell’Emiliano bis ci sarà posto per un’intesa come avvenuto al Governo, è ben difficile pronosticarlo.