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Previdenza complementare, l'interesse dei giovani per il loro futuro pensionistico è ancora troppo basso

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Occorre investire adeguatamente in maggiore formazione e creare lavoro duraturo per i più giovani al fine di migliorare le loro speranze per un futuro roseo.

Appare sempre più evidente come il rapporto tra la prima annualità della pensione e il reddito annuo lordo percepito nell’ultimo anno sia sempre più basso. Dagli anni ’90 sono avvenute diverse modifiche del nostro sistema pensionistico dovute soprattutto all’invecchiamento della popolazione ed all’aumento della speranza di vita. Sono tre i pilastri sui quali si fonda oggi il nostro sistema pensionistico: la previdenza pubblica obbligatoria, i fondi pensione e la previdenza integrativa individuale.

Lo scopo delle forme pensionistiche complementari è quello di mantenere costante il tenore di vita di chi ha cessato l’attività lavorativa. Tra queste: i fondi pensione chiusi (costituiti con accordo tra datore di lavoro e sindacati), i fondi pensione aperti (istituiti da banche, imprese di assicurazione) e i piani individuali pensionistici.

Il totale degli iscritti alla previdenza complementare cresce di quasi il 4% rispetto al 2020 (8,7 mln, ma attivi solo 6.3 mln), con un tasso di partecipazione di circa 1/3 della forza lavoro. Tra questi gli aderenti ai PIP nuovi sono circa 3,4 mln; gli iscritti ai fondi negoziali sono 3,3 mln mentre i i sottoscrittori dei fondi aperti sono poco meno di 2 mln. La metà circa ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni, il 32% il 31,9% ha superato i 55 anni e solo il 18% ha meno di 35 anni. Il livello di informazione sul sistema pensionistico complementare in Italia è decisamente basso: chi oggi si sta impegnando per integrare la pensione sociale evidentemente non sta facendo abbastanza.

L’interesse dei giovani per il loro futuro pensionistico è purtroppo decisamente poco soddisfacente. Poco meno del 50% dei contribuenti si dichiara adeguatamente informato sulla previdenza complementare. Il dato peggiore tra i membri dell’UE; e le stime sul futuro delle pensioni non sono confortanti: i lavoratori dipendenti del settore privato nel 2030 andranno in pensione per vecchiaia con il 65% dell’ultima retribuzione. Per un lavoratore autonomo la riduzione del tasso di sostituzione sarà piu’ severo: nel 2030 sarà di circa il 44% per poi risalire al 49% nel 2050.

Tra i motivi principali per cui parecchi contribuenti non aderiscono alla previdenza complementare vi è l’incapacità di risparmiare sufficientemente, il convincimento di farcela da soli investendo col fai da te, l’idea di essere troppo giovani per impegnarsi e la presenza di un lavoro precario. I giovani inoltre hanno scarsa cognizione dei rischi nel procastinare l’adesione a una forma di previdenza complementare.

Con il metodo contributivo infatti col trascorrere degli anni si verseranno contributi ridotti e quindi si avrà un minor montante fruibile e minori contributi corrisposti dal datore di lavoro. Inoltre il 25% di chi aderisce alla previdenza integrativa si iscrive tardi versando somme esigue e a rischio basso. A scadenza opta per il ritiro del capitale. Il problema è anche culturale. Sino a poco tempo fa chi andava in pensione non percepiva notevoli differenze tra stipendio e pensione. La liquidazione veniva quindi spesso utilizzata per estinguere debiti preesistenti o comprare la casa al mare, cambiare auto etc. Pertanto anche i giovani sono tuttora ancorati a queste ‘certezze’.

Occorre investire adeguatamente in maggiore formazione e creare lavoro duraturo per i più giovani al fine di migliorare le loro speranze per un futuro roseo.