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Covid, un italiano su due presenta sintomi d'ansia e depressione

Covid, un italiano su due presenta sintomi d'ansia e depressione

Ansia e depressione sono un effetto della pandemia di Covid per oltre la metà degli italiani. Donne e medici le categorie più colpite.

Un italiano su due ha sviluppato sintomi d’ansia e depressione a causa del Covid. È quanto certificano due studi in materia coordinati dall’Università di Torino, pubblicati su prestigiose riviste del settore come The Canadian Journal of Psychiatry. Uno spaccato che porta a riflettere sulle ripercussioni della pandemia anche su un livello psicologico.

Sintomi del Covid: ansia e depressione

L’Italia è stato il primo Paese europeo ad essere colpito pesantemente dalla coronavirus, finora attestato a Wuhan. Con la progressiva chiusura delle “regioni rosse” e dell’intero Paese, gli italiani si sono trovati di fronte a una realtà inconcepibile fino a quel momento. È in tale frattura “eccezionale” che – rivela lo studio – si siano sviluppati i disturbi. Il 69% degli italiani – rivela il paper – presenta sintomi d’ansia; il 31%, invece, depressione. Un buon 20%, invece, riferisce sintomi da stress post-traumatico. Secondo lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista canadese, ad accusare pesantemente questo disturbo sono le donne, le persone con un basso livello di scolarizzazione e coloro che sono entrati in contatto con pazienti affetti dal coronavirus, come il personale medico-sanitario, appunto.

L’impatto del Covid su medici e infermieri

Il secondo studio ha un orientamento più clinico e specifico. Ha, infatti, come oggetto gli operatori medici e sanitari. Su 145 operatori, è stato dimostrato che quelli che operano in un reparto Covid hanno un’elevata probabilità di sviluppare sintomi da depressione e stress post-traumatico rispetto ai colleghi che, invece, operano altrove. Sono stati rinvenuti livelli molto alti nelle donne e nel personale single. L’età gioca un ruolo importante: per i medici e infermieri avanti con gli anni, questo risulta essere un ulteriore fattore di rischio.

Ambedue gli studi, coordinati dall’Università di Torino, indicano una strada ben precisa. Nell’ipotesi di una seconda ondata, l’invito è di individuare queste fragilità ed evitare l’aggravarsi dei profili di persone che, in questo periodo, hanno già mostrato importanti fragilità.