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Samantha Sally: Il tragico racconto di una vedova dell'ISIS

Samantha Sally

Il racconto alla CNN di una donna americana vissuta per anni nei territori del Califfato, tra violenze, pestaggi e stupri.

È iniziato tutto con quella che doveva essere una vacanza con il marito, Moussa Elhasani, un cittadino di origini marocchine. Prende il via così, nel 2014, quello che per Samantha Sally, cittadina statunitense, è stato l’inizio di un viaggio negli orrori del “Califfato” dell’ISIS in Siria. Un viaggio che ha condiviso con suo figlio – Matthew. Un figlio avuto intorno ai vent’anni, nato da un primo matrimonio con un militare. E Sarah, nata in seguito al matrimonio dei due.

La donna ora prigioniera di forze curde

La donna è oggi detenuta da un gruppo curdo siriano, e spera di poter tornare presto a casa. Speranza però per il momento negata dalle autorità americane. Prima di consentire il suo ritorno, vogliono infatti fare chiarezza sulle reali ragioni che hanno spinto la donna a seguire il marito. Non possono infatti escludere a priori che lei condividesse il processo di radicalizzazione religiosa dell’uomo, andato a combattere con le truppe del califfato, e morto sul campo di battaglia.

Tutto è iniziato con una vacanza

Secondo il racconto della donna, tutto è iniziato quando il marito le aveva proposto di passare un anno in Marocco, suo paese natale, dove lei avrebbe potuto operarsi al ginocchio – risolvendo un vecchio problema che la affliggeva – ad un prezzo abbordabile. E magari, una volta li, iniziare una nuova vita.

La donna spiega così la sua prima visita nel paese magrebino. E racconta di esserne rimasta favorevolmente impressionata. Decide quindi di accettare la proposta del compagno, ed è così che i due iniziarono a pianificare il loro trasferimento.

I primi dubbi delle autorità

E qui risiede la prima perplessità delle autorità statunitensi: i due si muovono a Hong Kong, dove trasferiscono i propri risparmi. Le autorità vedono con sospetto questa scelta della coppia, perché nel 2014 il viaggio indiretto attraverso l’Asia e il trasferimento di fondi attraverso banche di Hong Kong erano metodi considerati “da manuale” da chi fosse desideroso di unirsi al gruppo terroristico aggirando le misure di sicurezza dei paesi occidentali.

La donna prosegue il racconto. Afferma che da Hong Kong il marito le propose una vacanza in Turchia, e soltanto una volta giunti nella cittadina di frontiera di Sanliurfa si è resa conto delle intenzioni del marito.

Il cambio radicale del marito solo in Turchia

Secondo la donna, infatti, fino a quel momento Elhassani era il compagno più premuroso del mondo: le comprava molti regali e la trattava con estrema gentilezza. Un comportamento che però sarebbe radicalmente mutato non appena giunti in Turchia . “Appena arrivati a Sanliurfa è cambiato tutto” racconta alla CNN la donna. “Sono diventata immediatamente prigioniera nella mia stanza di albergo”. Per le autorità incaricate di verificare la veridicità della sua storia questo è un secondo interrogativo: è possibile che una donna sufficientemente assertiva da gestire un divorzio a soli 22 anni, mostrasse tanta remissività in una vivace cittadina turca?

Il racconto di una scelta difficile

Racconta di essersi ritrovata sul confine siriano solo pochi giorni dopo, con i suoi due figli e il marito. Lì ha dovuto fare una scelta: tenere con lei il maschio e perdere la femmina, oppure seguire il marito nel tentativo di tenere unita la famiglia. Racconta di avere creduto di poter tornare indietro successivamente, e a chi non le crede dice: “la gente può credere quello che vuole, ma nessuno di loro ha mi dovuto affrontare un scelta del genere”.

Una volta nei territori controllati dal “Califfato” la donna racconta di come – nel rapporto con il marito – sia immediatamente cambiato tutto. “Se prima continuava a dirmi che mi amava, da quando abbiamo passato il confine siriano ha cominciato a trattarmi come un cane”. “Lui è diventato estremamente violento, e non c’era nulla che potessi fare”.

La donna infatti spiega di non aver provato a ottenere il divorzio perché temeva che questo avrebbe esposto ancora di più i suo bambini alle persecuzioni dell’ISIS.

Lei stessa imprigionata dal Califfato

Racconta anche di essere stata lei stessa imprigionata – mentre incinta – perché accusata di aver tentato la fuga e di essere una spia per conto degli Stati Uniti. Prigionia durante la quale racconta di aver subito violenze sessuali e innumerevoli torture. Una situazione che non è migliorata con il suo rilascio.

Rilasciata e tornata a casa nei dintorni di Raqqua, dove il marito faceva periodicamente ritorno dal fronte, ha partorito due figli. E spiega che fu per rimediare alla solitudine dell’esistenza che la donna conduceva che il marito le propose l’acquisto di qualche schiavo.

L’acquisto delle schiave Yazidi

Era il 2014, e il gruppo terroristico aveva appena catturato centinaia di donne Yazidi provenienti dalla zona del monte Sinjar in Iraq. Molte di queste donne sono state vendute come schiave, alcune delle quali con l’unico scopo della violenza sessuale. “Helhassani ha pensato che qualche schiava mi avrebbe potuto tenere compagnia durante le sue lunghe assenze al fronte, e quindi mi ha portato la mercato degli schiavi” racconta Samantha. “Non appena ho visto Soad non ho pensato ai soldi, ho solo pensato che dovessimo aiutarla”.

Soad è una ragazza tra quelle rapite, e aveva solo 14 anni al momento della vendita. Alla coppia è costata 10.000 dollari, la metà dei soldi che i due avevano portato dagli States. Ma appena portata a casa la giovane, il marito ha cominciato ad abusare sessualmente anche di lei. Ma evidentemente non era abbastanza. Decise infatti di comprarsi una schiava personale, Bedrine, ancora più giovane di Soad. E anche a questa giovane ragazza è toccato lo stesso destino di prigionia e violenza.

La giustificazione della donna

Samantha giustifica l’acquisto delle schiave affermando di avere loro offerto protezione e attenzioni che in altre case non avrebbero potuto avere. “Nessuno può capire come ci si senta a dover guardare il proprio marito che stupra una ragazzina di 14 anni” dice Samantha. “E dopo gli stupri, dover cercare di consolare una ragazza in lacrime, cercando di convincerla che andrà tutto bene”.

Non chiederò mai scusa per aver portato in casa mia quelle ragazze. Io avevo loro e loro avevano me. La loro alternativa più probabile era finire legate in qualche camera da letto, nutrite solo a the” dice con fermezza.

La morte di Elhassani e la fine dell’incubo

La situazione, racconta la donna, cambiò nel momento in cui – nella seconda metà del 2017 – Elhassani venne ucciso dall’attacco di un drone. “In quel momento riuscii a respirare per la prima volta da anni” dice Samantha. Che racconta che fu in quel momento che cominciò a pensare alla fuga.

Ma la guerra all’ISIS era proseguita, e ormai le truppe della coalizione americana cominciavano ad avvicinarsi a Raqqua, dando il via ad uno di quelli che si è rivelato essere uno degli episodi di guerra più sanguinosi del conflitto. “Le truppe dell’ISIS sparavano sui civili che provavano a lasciare la città, e sapevo che se avessimo provato a fuggire saremmo stati uccisi tutti” dice Samantha, cercando di spiegare perché non provò la via della fuga.

La fuga da Raqqua

La donna riesce a lasciare la città – con il suo “nucleo famigliare” – con alcuni dei convogli che dovrebbero portare via gli ultimi combattenti dell’ISIS barricati nella zona. È uscita nel convoglio diretto a est, e poi verso nord, dove alla fine è stata catturata dalle truppe della coalizione.

I dubbi sulla sua storia

Racconta di aver vissuto nei territori del califfato sostanzialmente per tutto il tempo in cui questo è esistito, dal 2013 fino alla capitolazione finale. Una posizione che rafforza i dubbi di chi non crede alla sua storia di vittima, e che complica la sua posizione di innocente vittima del terrore del califfato.

Farò di tutto per riportare i miei figli alla terra che gli appartiene” dice però con ferma convinzione la donna. “Se dovrò spendere 15 anni in prigione, sarà comunque meglio di qualunque cosa possa accaderci qui”.

Vittima o manipolatrice?

Per chi cerca di capire se la donna sia una vittima o una spietata manipolatrice si prospetta un duro lavoro: è anche stata interrogata dall’FBI, ed è consapevole che ammettere di essersi spontaneamente affiliata allo stato islamico non le permetterebbe di tornare in madrepatria.

Secondo le testimonianze fornite alla CNN, che ha avuto modo di parlare con gli amici che Samantha aveva negli Stati Uniti, la donna – nel periodo precedente alla sua partenza – non aveva mostrato alcun segno di radicalizzazione religiosa.

Le testimonianze degli amici

Era una persona generosa e fantastica, una ottima amica, e una splendida mamma per Matt e Sarah. Credo con tutto il mio cuore che non avrebbe mai potuto avere l’intenzione di portare i suoi figli a combattere con L’ISIS”, racconta Andria Lighter, sua amica.

Un’altra amica, però, che parla in condizioni di anonimato, racconta di come prima di partire Samantha fosse diventata meno disponibile, e curiosamente non avesse confidato a nessuno la sua intenzione di trasferirsi in Marocco.

La donna, racconta chi la conosceva, semplicemente lasciò il lavoro e disse che partiva per una vacanza ad Hong Kong. Per il resto sembrava essere la Sam che tutti conoscevano.

Una storia, quella di Samantha, che comunque finisca ha il merito di fornire una testimonianza diretta di quello che è stato il regno dello stato islamico, che dietro alla retorica religiosa nascondeva una realtà ben diversa da come appariva. Una organizzazione che secondo lei non era niente di più di una aggregazione di violenti, spesso tossicodipendenti, che usava lo schermo della religione come nulla osta per fare tutto ciò che volevano.

Una storia purtroppo comune a molte donne, convinte a lasciare i propri paesi di origine e finite prigioniere di uomini. Uomini che spesso stentano a riconoscere come gli stessi di cui si sono innamorate in occidente, che le costringono a vite segregate e a violenze.