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Sara Compagni: "Con Postura da Paura voglio rendere il movimento più accessibile e inclusivo"

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La body coach Sara Compagni, fondatrice della pagina Instagram Postura da Paura si è raccontata in un'intervista a Notizie.it

Dal 2018 Sara Compagni è sbarcata sui social e su internet sotto il nome di Postura da Paura e crea ogni giorno allenamenti per tutte le esigenze con particolare attenzione al corpo femminile e alle patologie correlate. La body coach, ormai conosciutissima su Instagram, si è raccontata nell’intervista a Notizie.it.

Chi è Sara e cos’è Postura da paura?

Allora, io sono una body coach, mi piace definirmi così, perché mi piace pensare di non essere solo una trainer, mi piace pensare di riuscire ad accogliere varie esigenze del corpo. Lavorano con me altri professionisti, ovviamente non solo allenatori, ma anche fisioterapisti, nutrizionisti, psicoterapeuti, perciò la mia idea e quella del mio team è di poter, attraverso il movimento, aiutare le persone a 360° e quando il movimento non è sufficiente ci facciamo supportare anche da altri professionisti.

Postura da paura nasce nel 2018 proprio per questa esigenza di parlare di movimento in modo più accogliente, in modo un pochino più chiaro, visto che è un argomento del quale parlano tutti e delle volte con poca coscienza. Quello che mi dispiaceva era vedere che per tanti il movimento era inaccessibile, troppo difficile, troppo faticoso, troppo impegnativo, invece in realtà il movimento è forse una delle cose più inclusive che esistano e la mia missione – se così vogliamo definirla – è proprio questa: cercare di portare il movimento a tutti e di renderlo gradevole a tutti, che poi è la chiave per poterlo fare nel tempo, per essere costanti nel tempo.

E perché questo nome, Postura da paura?

In realtà il naming è molto curioso, perché io nelle mie sedute faccio sempre una piccola parte di terapia manuale – sono una terapista manuale – ma la stragrande maggioranza del tempo la dedico all’esercizio terapeutico. Do sempre degli esercizi da fare a casa e c’è questo meccanismo di conquista, cioè se mi rendo conto che tu stai facendo gli esercizi magari aumentiamo la parte di terapia manuale, altrimenti faremo sempre più esercizi. Una mia cliente un giorno torna da me e mi dice: “Sara, da quando faccio questi esercizi mi è venuta una postura da paura” e così è nato il nome.

Quindi il nome è nato con l’aiuto di una delle tue clienti, però allo stesso tempo ricalca uno dei tuoi punti fondamentali. Tu dai molta importanza alla postura in quello che è il tuo lavoro.

Sì. La postura è una cosa di cui parlano tutti, la verità è che la postura è qualsiasi cosa, è la fotografia dello stato di salute del nostro corpo oggi, non solo di salute fisica ma anche di salute emotiva, di salute dei nostri organi. Prova a pensare ad una persona triste, avrà una postura sicuramente un pochino più chiusa; una persona che ha appena ricevuto una bella notizia avrà una postura più aperta, una persona con dei problemi gastrici avrà un determinato tipo di postura, una persona col mal di testa ne avrà tutt’altra, perciò in realtà la postura è la nostra carta d’identità in questo momento e un professionista ha il compito, secondo me, di riconoscere qual è il nostro stato psicofisico. Molte volte però si vendono lavori posturali come lavori di stretching, mobilizzazioni, blanda tonificazione. In realtà, la postura è alla base di tutto il nostro movimento, cioè, fare uno squat fatto in un modo anziché fatto in un altro cambia totalmente il risultato. Perciò, il modo in cui io parlo di postura è un po’ questo, il trasferimento dell’esecuzione meno dannosa per il nostro corpo e che ci può aiutare nell’ottenimento del risultato rispettando il nostro stato psicofisico.

Hai fatto riferimento a diversi problemi di salute, hai parlato di mal di testa, hai parlato anche di stati emotivi. Tu, diciamolo, hai scritto un libro e nel libro approfondisci proprio diverse tipologie di allenamento in base allo stato psicofisico di una persona in un determinato momento. Ci vuoi parlare un po’ di questo?

Sì, assolutamente. Diciamo che per la stragrande maggioranza delle condizioni disfunzionali che possono colpire il corpo umano il movimento è sempre indicato. Questo non vuol dire che col movimento si cura una patologia, alcune patologie non hanno cure, semplicemente si gestiscono attraverso svariate cose (farmaci, alimentazione, terapia cognitivo-comportamentale o allenamento) e l’allenamento è sempre un fattore che, se ben dosato e ben proposto, se adeguato al soggetto, può migliorare la qualità della nostra vita. Per questa ragione, uno dei miei campi di interesse è proprio questo, la proposta allenante in condizioni disfunzionali.

Nel libro approfondisco in particolar modo il lipedema, l’endometriosi, la PCOS e il mal di testa, che sono delle condizioni che colpiscono veramente un’enorme fetta di popolazione, prevalentemente femminile (anche il mal di testa è una condizione prevalentemente femminile). Appunto, a seconda della condizione disfunzionale – non mi piace definirla patologia, mi piace di più definirla condizione disfunzionale – si può proporre al soggetto un movimento più o meno adeguato che può inserirsi al meglio all’interno della vita di questo soggetto, quindi migliorare la qualità della sua vita.

Parliamo ad esempio del mal di testa: noi abbiamo creato in collaborazione col dott. Riccardo Rosa, fisioterapista di Roma specializzato in cefalea ed emicrania, un programma di allenamento per chi soffre di mal di testa. Ci sono soggetti che hanno necessità di fare cure costanti, di prendere farmaci di profilassi. Attraverso l’allenamento questi farmaci si continueranno a prendere, non andranno a sostituirsi, però è possibile che l’allenamento ci permetta di avere attacchi meno frequenti, attacchi meno potenti e disabilitanti e che durino meno nel tempo (un attacco che magari dura tre giorni può ridursi in durata oltre che in intensità). Questo non succede con tutti gli allenamenti, infatti è molto comune che delle persone che soffrono di mal di testa mi raccontino che hanno fatto un allenamento specifico e in realtà il mal di testa si è manifestato, anzi è peggiorato, proprio perché l’intensità fa tutta la differenza. Ancora una volta il dosaggio, quando si parla di condizioni disfunzionali, è determinante. ed è quello che faccio io e che mi impegno a fare con i miei programmi.

Mi lego a quello che hai detto parlando del mal di testa nello specifico e ti chiedo: a me per prima capita di avere mal di testa e quando ho mal di testa vorrei fare tutto fuorché l’allenamento. Ti va di approfondire un po’ questo aspetto?

Allora, non bisogna intendere l’allenamento terapeutico in questo caso come un farmaco, ci sono dei momenti in cui serve prendere un farmaco. Quello che invece possiamo fare è lavorare sul resto dei giorni in cui i miei sintomi non sono acuti. Se io riesco a creare uno stato di quiete diciamo differente nei giorni in cui non ho mal di testa e quindi a creare una condizione, un substrato meno favorente all’attacco. Le persone che soffrono di mal di testa hanno un fattore comune, che è quello di avere un sistema nervoso molto più sensibile rispetto a chi non soffre di mal di testa. Attraverso l’allenamento noi andiamo a rendere un po’ più forte questo sistema nervoso e quindi se prima dell’allenamento bastava uno stimolo ad intensità tre per farmi partire l’attacco, un sistema nervoso allenato può permettermi di far partire l’attacco ad uno stimolo di intensità sette. Quindi l’allenamento serve a questo: a generare un corpo forte e in grado di gestire lo stress che mi può causare l’insorgenza dell’attacco.

Ripeto ancora una volta, lo sottolineo, non sostituisce il farmaco, non cura il mal di testa, ci sono tipi di mal di testa che ancora non sono stati nemmeno catalogati dalla scienza, figuriamoci se lo possiamo fare noi con l’allenamento. Però è molto importante comprendere questo, che non è che ho mal di testa e allora faccio HAT, che è questo programma che abbiamo creato, e mi passa il mal di testa. In alcuni casi è successo, abbiamo una casistica di persone che si sono sottoposte all’allenamento e hanno risolto l’attacco che era in atto o che stava iniziando, però sinceramente non mi sento di spingere in questa direzione. Quello che voglio comunicare è che è bene lavorare per arrivare a non dover mai affrontare un attacco di mal di testa troppo invasivo da non permettermi di muovermi.

In generale, il consiglio è sempre quello di provare a fare il movimento consentito – la letteratura parla di movimento consentito – anche in caso di attacco. Questo vale anche per le altre condizioni. Ad esempio, un’altra condizione che ci espone al dolore cronico e molto invalidante è l’endometriosi. Il consiglio è quello di provare comunque a svolgere anche il più minimo dei movimenti, che può essere anche solo camminare dal divano al letto; si pensa sempre all’allenamento come una roba stremante, in realtà è allenamento qualsiasi cosa che in quel momento genera uno stress che sia sul lungo periodo positivo. Se in quel momento il mio corpo mi concede anche solo una piccola passeggiata o delle blande mobilizzazioni bene, sarà quello il mio movimento terapeutico per quel giorno. E spesso succede per una serie di meccanismi che esistono nel nostro corpo che appunto l’ossigenazione che ci porta il movimento ci permetta anche di alleviare l’intensità dei sintomi.

Quindi l’importante è sempre ascoltare il proprio corpo.

Questo sempre e comunque. Però bisogna anche qui un pochino imparare a conoscersi e ad essere un po’ onesti rispetto alle proprie sensazioni, perché quello che noto è che molte persone hanno paura di muoversi quando hanno un attacco, quando hanno un dolore. Non so, ho mal di schiena e non mi muovo perché ho paura.

Quella non è una sensazione che ci aiuta ad approcciare al movimento ma allo stesso tempo è una sensazione di cui tener conto. Per questo esistono delle figure, tipo lo psicoterapeuta ma anche il fisioterapista, che ci aiutano a riconoscere la paura del movimento – si chiama chinesiofobia – e ad affrontarla in modo consapevole. Cioè, è un reale limite del mio corpo il fatto che io oggi non riesco a muovermi o è una mia paura, un mio condizionamento? Sono questioni da tenere in considerazione.

Io assolutamente se una persona ha paura accolgo questa paura e non impongo di fare cose contro la propria volontà, è assolutamente sbagliato, anzi potrebbe in realtà peggiorare la condizione, perché si instaurano degli stati di rigidità e tensione che mi portano lontano dal risultato, ma cerco di capire qual è la paura alla base e se è, appunto, una reale paura o un limite oggettivo non superabile in quel momento. Non è semplice, serve un lavoro di ascolto importante non solo da parte del professionista ma soprattutto da parte dell’utente, dell’individuo.

Una cosa che ci può aiutare tantissimo è il diario: quando soffriamo di dolori cronici tenere un diario di quello che abbiamo fatto ad esempio nelle 48 ore precedenti all’attacco – parlando di mal di testa, ma veramente vale per qualsiasi dolore, come il mal di schiena, senza parlare di patologie più sistemiche ma più meccaniche – conoscere quello che è successo nelle 48 ore precedenti – può essere qualsiasi cosa: un cibo, scarsa idratazione, una litigata con una mia amica, l’esposizione a fattori ambientali ai quali solitamente non sono esposta, più luce o più freddo, sono tutti fattori potenzialmente scatenanti – imparare a capire quali sono le cose che possono allarmare il nostro sistema nervoso, perché il dolore parte sempre dal nostro sistema nervoso centrale, è molto importante. Valgono tutte le cose, ad esempio un odore: ci sono persone che quando hanno mal di testa non possono assolutamente andare al supermercato a fare la spesa e passare vicino ai frigo, per la luce e per il freddo che esce; ci sono persone che hanno degli attacchi di mal di testa in concomitanza con la percezione di alcuni odori o rumori. Sono veramente cose alle quali magari uno non fa caso, ma per la mia esperienza iniziare a prestare attenzione ci porta ad essere più consapevoli e la consapevolezza è il primo passo per poter uscire da una situazione di impasse.

Tornando un attimo indietro a quello che è stato il tuo percorso, chi ti segue lo sa perché non ne hai mai fatto mistero, nel tuo passato c’è la danza. Non è così usuale che una ballerina passi all’allenamento, al fitness, e arrivi addirittura a farne una professione, no? Come è successo?

Io ho fatto la ballerina professionista, appunto, poi mi sono fatta male e non avevo un piano B, nella mia testa io avrei fatto la danzatrice, al massimo l’insegnante di danza. In realtà quando mi sono fatta male ovviamente in un primo momento c’è stata un po’ di instabilità, non sapevo cosa fare, poi però ho avuto una grandissima fortuna, che è stata incontrare un team di fisioterapisti che mi hanno riabilitata al ginocchio e che mi hanno appassionata all’altro lato del corpo umano, perciò non più intrattenere attraverso il corpo umano ma curare il corpo umano attraverso il movimento. Io allora sapevo solo ballare, perciò ho preso i primi brevetti per poter insegnare fitness musicale in palestra e per inserirmi un po’ in questo ambiente che magari non mi sarebbe piaciuto, e da lì in realtà è nato il mio grande amore, perciò ho sempre avuto la passione per gli altri esseri umani, mi interessava conoscere le loro vite, i loro problemi e provare ad aiutarli attraverso il movimento. Ovviamente, poi ai percorsi di fitness musicale sono seguiti tanti altri percorsi di formazione che hanno fatto sì che tante mie intuizioni – all’inizio non nego che si trattasse di intuizioni – fossero in realtà confermate dallo studio, da quello che è la ricerca in ambito di corpo umano.

Perciò, ho iniziato a lavorare col corpo attraverso il movimento e credo nel mio caso che l’infortunio sia stato provvidenziale, perché altrimenti non sarei mai arrivata a fare il lavoro che faccio oggi che è il lavoro che sono felice di fare, cioè, io penso di essere nata per fare questa roba qua, sono mega appassionata di quello che faccio, credo che traspaia un po’ questa passione e credo che questa passione sia alla base anche della mia preparazione, della mia voglia di conoscere sempre di più, faccio corsi in continuazione, leggo tantissimo, c’è proprio una passione che ha sempre come base il movimento che è stato comunque l’essenza della mia vita fin da bambina, è solo un modo diverso di farlo.

Si va verso l’estate. Quindi, un momento in cui tutti decidiamo di rimetterci in forma.

Allora, partiamo col dire che l’estate non è così lontana, perciò non siamo proprio in time per fare un percorso importante, ma è sempre un buon momento per cominciare. Quello che invito a fare è di smettere di pensare all’estate come il goal; il goal vero, soprattutto in una fase iniziale, soprattutto quando non c’è un’abitudine radicata rispetto al movimento, è quello di creare una nuova abitudine, il primo goal deve essere quello, perché non esistono soluzioni fast che ci possono garantire un risultato, possono capitare ma non è detto, perché ognuno di noi è diverso, ogni corpo ha una sua storia, ogni corpo quindi reagisce in modo diverso. Magari a me bastano tre mesi per rimettermi in forma smagliante, ci sono persone alle quali non basta un anno, ok?

Se vogliamo fare le cose senza farci male e rispettando il nostro stato di salute la prima cosa da capire è che ciò che ti garantirà un risultato non è quello che fai oggi ma è quello che fai in modo sistematico per un periodo sufficientemente lungo da indurre un adattamento, che può essere di tre mesi, sei mesi, un anno o una vita. Non si può sapere, questa è proprio fantascienza: chi garantisce un risultato in tot giorni ti sta prendendo in giro, non è possibile saperlo. Quindi, la prima cosa è installare una nuova abitudine. Per installare una nuova abitudine che resti, è importante che questa abitudine sia sostenibile, perciò è impensabile che se fino a ieri non mi allenavo da domani inizio ad allenarmi sette giorni a settimana. Proviamo ad essere realistici rispetto alla nostra organizzazione settimanale e stabiliamo dei momenti che diventino intoccabili. Se mi chiama l’amica e io avevo previsto di fare l’allenamento dico di no all’amica, mi alleno. Se ogni volta posticipiamo, finiamo per non essere regolari, e la regolarità e la costanza è veramente ciò che fa la differenza sul lungo periodo! Tantissime ragazze che fanno il mio programma mi scrivono proprio questo: finalmente riescono ad essere regolari e finalmente infatti vedono i risultati…perché il programma è miracoloso? No, perché sono state costanti. Poi, il programma è fatto molto bene ovviamente, però la bacchetta magica risiede nella costanza e nella sistematicità, perché se siamo costanti una volta alla settimana non sarà sufficiente. Bisogna essere sistematici, bisogna creare un vero e proprio programma, che è quello che io propongo. C’è una tabella e io dico in modo specifico cosa fare una volta che abbiamo stabilito quali sono le nostre ore intoccabili all’interno della settimana; dobbiamo pensare veramente di essere pagati per fare quell’ora.

Io do due consigli di solito per riuscire a tener fede a questo impegno: il primo è di farsi o scaricare o acquistare un calendario cartaceo da appendere e, ogni volta che faccio allenamento, faccio una bella x sul calendario. Questa prova visiva del mio impegno mi aiuta ad essere più motivato. Parlo per esperienza, non conosco studi in merito all’efficacia di questo metodo, sembra un gesto tanto banale quanto in realtà molto efficace. Il secondo modo è creare un piccolo salvadanaio sia digitale, così come un salvadanaio fisico, e inserisco uno o due euro, quello che voglio, per premiarmi di questo allenamento e al termine del mio percorso avrò un piccolo gruzzoletto che potrò dedicare a un mio sfizio, che sia un massaggio o la borsetta, un piccolo weekend con le amiche, un libro, cioè qualsiasi cosa non è importante il valore oggettivo di quello che andremo a comprare. L’importante è però che sia per noi, che sia una gratificazione personale. Per la mia esperienza, ripeto, questi sono due metodi che ci possono aiutare a mantenere l’attenzione e a mantenere la costanza, perché la motivazione è una grande trappola. Anche l’essere più motivato tenderà a far scemare la propria motivazione se questa non viene costantemente alimentata ed è oggettivamente molto difficile dato che abbiamo tutti vite molto complicate, viviamo in una situazione sociale molto stressante in questo momento, perciò è difficile. Questi sono i consigli di gestione.

Dopo i consigli di gestione è importante scegliere qualcosa che ci diverta sempre, per la questione della costanza se una cosa ci diverte saremo portati a farlo più spesso possibile e farlo più spesso possibile ci avvicinerà al nostro obiettivo. E che sia uno sforzo adeguato al nostro stato di fitness: se non abbiamo mai fatto sport in vita nostra, magari abbiamo qualche chilo di sovrappeso, magari abbiamo già dei doloretti alle ginocchia o alla schiena e passiamo alla nostra vita prevalentemente seduti, scegliere un corso dove per l’80% si saltella forse può essere una scelta un po’ sconsiderata, perché dopo l’entusiasmo iniziale i doloretti e la sensazione di essere poco capace a seguire il ritmo di quella lezione potrebbe sconfortarmi e quindi allontanarmi dal mio obiettivo. La scelta dell’allenamento si fa così, cioè io consiglio di farla in questo modo: a livello ideale, sarebbe bene cercare di sottoporsi a un allenamento che preveda una parte che alleni il sistema cardiovascolare, una parte che alleni la forza e, appunto, potenzi lo stato dei nostri muscoli e una parte dedicata invece all’allungamento, allo stretching e al recupero, anche in sessioni diverse, cioè posso dedicarmi un giorno all’allenamento cardio, un altro giorno al potenziamento, un terzo giorno al recupero.

Il mio programma è strutturato più o meno così a seconda del mesociclo, perché è un programma strutturato su 12 mesi e ovviamente ogni mese ha il suo il suo obiettivo, quindi la sua creazione, la sua organizzazione interna. Ecco, sicuramente queste sono le regole. Secondo la mia opinione ed esperienza, è necessario allenarsi almeno tre volte alla settimana un’oretta, ok? Una volta alla settimana è una coccola che ci stiamo dedicando, due volte alla settimana è un buon inizio, un modo soprattutto per combattere i doloretti da vita sedentaria, ma, per ottenere un risultato fisico ed estetico oltre a tutti i benefici legati alla salute, il minimo sindacale è tre volte la settimana.

Sicuramente i nostri spettatori diranno: “Chi ha tempo per allenarsi tre volte la settimana?”. A queste persone cosa rispondiamo?

Rispondiamo che abbiamo tutti le stesse ore nella giornata. Sicuramente ci sono persone che hanno vite più incasinate di altri, questo è innegabile, però è un piccolo investimento che facciamo sulla nostra salute. Muoversi dovrebbe essere al pari del lavarsi i denti, non dovrebbe essere un’opzione. A nessuno salterebbe mai in mente di non lavarsi i denti, invece l’allenamento viene sempre considerato come un’opzione, in alcuni casi addirittura come un vezzo del nostro ego.

E’ dimostrato che l’allenamento sia fondamentale per la nostra salute, quindi anche per tante altre cose. Anche l’estetica non è un vezzo, noi siamo il nostro corpo. Una casa brutta o una casa bella hanno magari delle caratteristiche tecniche differenti: una casa che cade a pezzi ha magari dei muri poco solidi, una casa nuova magari invece ha dei muri adeguati. È la stessa identica cosa.

È molto importante capire che il nostro corpo non è una parte staccata di noi, non è vero che se siamo più belli siamo meno intelligenti e che se dedichiamo più tempo all’allenamento sicuramente lo toglieremo ad altro. In realtà è proprio una necessità del nostro sistema nervoso, della nostra emotività e infine del funzionamento della nostra vita. Il cuore è il nostro muscolo più importante, perciò l’allenamento è fondamentale. Per me è un po’ una cosa che bisogna costringersi a fare, può essere vista come un’imposizione, una costrizione se scegliamo cose che proprio non ci piacciono, che sono molto lontane dalla nostra area di comfort. Può essere vissuto in maniera più leggera e sostenibile se, appunto, scegliamo qualcosa di divertente. Attenzione, io prima ho parlato di situazione ideale che prevede cardio, muscolazione, stretching, ma se a noi diverte andare a ballare va bene, iniziamo così, iniziamo a creare uno spazio per noi dedicato al nostro corpo, poi si si lavorerà sul perfezionamento, ma quello viene dopo.

Su Instagram sei sempre molto solare, il tuo motto, diciamolo per chi non lo sa, è fare tutto “con gioia”, giusto?

Esatto.

Come riesci a integrare, oltre il tuo lavoro, i tuoi studi e i tuoi corsi, anche questa parte di interazione con i tuoi follower che comunque sono legati a te e ti seguono con affetto?

Sì, devo dire che io ho una fanbase molto affezionata, ci sono persone con le quali parlo ogni giorno. Secondo me, una delle chiavi importanti della mia comunicazione è che sono una persona estremamente normale. Io, ad esempio, trovo il tempo di allenarmi all’interno di una vita familiare complicata con una bambina da gestire, con un’azienda da gestire che sta crescendo velocemente, con dei collaboratori, perciò credo che le persone dall’altra parte dello schermo vedano in me la loro vita normale, incasinata, ma gestita con estrema leggerezza. Questa è una caratteristica propria del mio carattere, per me è proprio naturale: io mi sveglio la mattina e canto, ballo, così come faccio durante gli allenamenti.

Le ragazze che si allenano con me ogni tanto sentono raccontare la mia giornata, mi sentono canticchiare, proprio perché mi piace pensare che l’allenamento possa essere anche una cosa leggera, no? Non deve essere per forza una cosa martoriante. Quindi, secondo me in primis la normalità che vedono in me e le tante difficoltà che magari riscontrano anche nelle loro vite. Quando facevo le dirette durante il lockdown, le facevo nel salotto di casa mia a Mantova. Ogni tanto passava il gatto, ogni tanto arrivava mia figlia a chiedermi da mangiare, ogni tanto passava mia nonna a dirmi che stavo facendo troppa fatica, una situazione estremamente normale, nulla di patinato, nulla di troppo invidiabile. Io penso di avere una vita molto gratificante, sono molto grata per la vita che ho, non senza difficoltà. Perciò credo che sia questa la chiave, cerco di mettermi veramente a disposizione delle persone che si interfacciano con me, rispondo quasi tutti direct che ricevo (non a tutti perché sono veramente troppi, ma ad un buon 80% secondo me rispondo) e cerco di offrire delle soluzioni, di ascoltare – caratteristica non comune, purtroppo, da quanto vedo – e di offrire una soluzione, che sia solo anche un sostegno, una parola gentile, così come una soluzione motoria o un’indicazione più specifica, un’indicazione di un professionista più specifico. Insomma, cerco di ascoltare, di essere assolutamente autentica: quello che si vede sullo schermo è quello che sono nella vita.

Concluderei questa intervista chiedendoti tre consigli di getto per iniziare a volersi bene e a curarsi un po’ di più.

Allora, il primo consiglio che mi viene da dare è quello di non mettersi a paragone con gli altri: nessuno è nelle nostre vite, nessuno può giudicare la nostra vita e viceversa non possiamo farlo rispetto alle vite degli altri. Perciò è bene essere molto consapevoli di chi siamo e allontanarci dal continuo confronto con gli altri può essere, secondo me, vincente in tante situazioni.

La seconda cosa che mi viene da suggerire è di smetterla di misurarsi, pesarsi costantemente, prendere le circonferenze costantemente, guardarsi in continuazione allo specchio. Se oggi inizio ad andare in palestra, quando esco dalla palestra non vedrò niente sul mio corpo. Se oggi inizio a fare la dieta, oggi non vedrò niente sul mio corpo. Perciò iniziate a fare una cosa che sia per voi, programmatela sul lungo periodo e dimenticatevelo, fatelo e basta, senza continuare a monitorare i risultati. Ovviamente, invece, dobbiamo stare attenti al monitoraggio più legato alla salute, cioè se sento che quello che sto facendo mi sta causando insonnia, gonfiore, pesantezza o dolori, quello è un monito importante che ci sta dicendo “Amica, qualcosa che fai che non va bene”. Cerchiamo di capirlo, anche in questo caso teniamo un diario e proviamo a capire se il problema risiede nelle nostre abitudini alimentari, se risiede nel nostro sonno, troppo o troppo poco, se risiede nel movimento, troppo, troppo poco o inadeguato rispetto delle nostre capacità.

L’ultimo consiglio secondo me importante è di non pensare e di fare: non pensare se hai voglia o non hai voglia, tempo o non tempo, fai e basta! In questa cosa la programmazione e l’organizzazione ti possono dare una mano, ma non stare a pensare. Il nostro cervello è costruito per sabotarci. Non so se avete mai provato a fare una corsa lunga; io una volta ho provato a fare una mezza maratona, ero allenatissima per farla, ce l’avevo nelle gambe. Al quindicesimo chilometro la mia testa ha iniziato a dirmi ad ogni passo “Fermati, non lo fare più, non andare avanti, stai facendo troppa fatica”. In realtà è proprio un retaggio della nostra testa e il nostro cervello è costruito per sabotarci. Perciò, non pensate, fatelo e basta, al termine dell’allenamento vi sentirete sicuramente meglio – sempre se l’allenamento è adeguato a voi – e soprattutto avrete aumentato la stima nei vostri confronti perché sarete riuscite a portare a termine un impegno che avevate preso con voi stesse e avrete aumentato la vostra autoefficacia, una parola che oggi è molto presente in tantissimi studi scientifici. L’autoefficacia è quella sensazione di sentirsi capaci non solo di portare a termine un impegno che abbiamo preso con noi stessi ma anche capaci di fare determinate cose, capaci di migliorare il nostro gesto nel tempo, capaci di sentire il nostro corpo più atletico. Anche questa è una caratteristica determinante che ci aiuta ad aumentare la nostra autostima e l’autostima è, secondo me, la chiave per volersi più bene ed essere più presenti a noi stesse, per scegliere con cura le relazioni con le quali interfacciarsi e scegliere anche il percorso motorio, visto che stiamo parlando di quello, più adeguato alle nostre capacità e alle nostre esigenze.