Tutto procedeva regolarmente al concerto di Sfera Ebbasta: musica alta, gente che ballava, adrenalina alle stelle. Poi, all’improvviso, è scoppiata una rissa che ha cambiato tutto.
Sfera Ebbasta ferma la rissa sotto al palco: “Ci sono bambini, siete dei babbi”
È successo il 2 agosto 2025, Arena della Versilia, Cinquale. Sfera Ebbasta è sul palco, visiera bassa e carisma in mano.
Ma sotto, nella zona Pit, qualcosa non va. Una rissa. Calci. Pugni. Facce gonfie e urla. Il pubblico sta cercando di creare un moshpit, come si fa nei finali di concerto. Un rito. Solo che stavolta degenera. Il pogo si trasforma in violenza vera. E Sfera, dal palco, si ferma. Lo vede tutto.
Si interrompe durante Visiera a becco, una delle tracce più cariche. Abbassa il microfono, ma poi lo riprende. Voce chiara, tono gelido:
«Raga, per favore state fermi. Qualcuno ha deciso di rovinare l’ultimo pezzo».
Il pubblico ammutolisce. Poi arriva il resto, secco come uno schiaffo.
«Questo è il motivo per cui la gente poi non ha voglia di venire a suonare», dice. E punta il dito, senza mezzi termini:
«Ma che c*o parti fratello, ci sono bambini e ragazzine»**.
Silenzio. La folla smette di agitarsi.
«Siete dei babbi. Ve lo dico con tutto il cuore, siete dei babbi. Non sapete divertirvi», chiude, tra gli applausi di chi ha capito.
Sfera Ebbasta contro la rissa e contro l’incoscienza: “Non rovinate tutto”
Non è la prima volta che un concerto di Sfera Ebbasta finisce nei titoli di cronaca. Il pensiero va subito a Corinaldo. Otto dicembre 2018, discoteca Lanterna Azzurra. Una serata tragica, tutto partito da una rissa: sei morti, cinquantanove feriti.
Forse è per questo che Sfera ha reagito così. Perché certe scene, certi ricordi, non si cancellano. Perché chi è salito mille volte su un palco sa che la linea tra festa e tragedia è sottile. Sottilissima.
Eppure qualcuno ha dimenticato. Ha deciso di fare casino nel momento più alto, più intenso. Nell’ultimo pezzo. Quello che si canta insieme, senza più freni.
Sfera non ci sta. Non vuole che il suo concerto si trasformi in un’arena. Né ora, né mai. E il messaggio è chiaro. Non solo a chi ha fatto partire le mani. Ma a tutti per il futuro. Serve rispetto. Per la musica. Per chi ascolta. Per chi canta.