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Variante indiana del covid, ecco i sintomi, le caratteristiche e quanto è diffusa in Italia

Immagine di una variante del coronavirus

Variante indiana del covid, sintomi, caratteristiche e quanto è diffusa in Italia: da noi solo 5 casi, eluderebbe i vaccini e non avrebbe sintomi diversi

Variante indiana del covid, i sintomi, le caratteristiche e quanto è diffusa in Italia possono costituire strumenti utili per contrastare quella che fino ad ora e secondo gli  studi più recenti pare essere la sola variante sufficientemente “attrezzata” per eludere l’effetto delle vaccinazioni. Cominciamo dal “nome”, non quello geografico che indica il paese dove viene sequenziata per la prima molta la mutazione, ma quello alfanumerico che indica esattamente il punto di mutazione: il suo è  B.1.617

Variante indiana del covid: da dove viene

L’ultima arrivata nella famiglia delle varianti degne di monitoraggio del coronavirus è stata isolata in India, nello stato del Maharashtra, il secondo più popoloso del paese. Secondo i rilievi degli operatori sanitari territoriali quel ceppo era presente nel 15-20% dei sequenziamenti. E  Stuart Ray, docente di medicina presso la Johns Hopkins University, aveva rilevato un dato: “Questo è un altro esempio in cui una variante si diffonde in modo massivo nel paese in cui viene rilevata. L’India ha condotto una campagna di sequenziamento abbastanza fitta da riconoscere la presenza di questa variante, che solleva preoccupazione sul fatto che la doppia mutazione possa eludere le risposte anticorpali neutralizzanti sviluppate a seguito della vaccinazione o di una precedente infezione”. 

Una proteina che è cambiata due volte

Ecco su cosa era scattato il campanello di allarme: la variante indiana sarebbe capace di “dribblare” gli anticorpi indotti dalla vaccinazione. Perché? Perché la sua proteina spike, la il “grimaldello” con cui aggancia le cellule ospiti, presenta due diverse mutazioni, quindi la risposta specifica indotta dal vaccino è debole, dato che ha un solo campo di azione-risposta a fronte di due attacchi. La variante è prevalente in India ma pare che finora nei paesi europei non abbia attecchito molto, anche se i dati attuali sono molto controversi e confliggono spesso fra di loro. 

Quanto è diffusa in Europa, Usa e Italia

Nel Regno Unito rappresenta meno del 20% dei casi, negli Usa meno del 10%, in Svizzera e Germania intorno al 5/6%. E in Italia? Secondo il professor Massimo Ciccozzi, Epidemiologo dell’Università Campus Bio Medico di Roma  “in Italia abbiamo rilevato cinque sequenze, quindi cinque casi in totale, veramente molto, molto pochi”. Qui però si innesca una sorta di “giallo”: circa un mese fa, quando la variante a doppia mutazione venne individuata in Italia e in particolare in Toscana, i casi accertati erano censiti addirittura 347. Se ne può dedurre, a meno di non voler considerare un clamoroso corto circuito mediatico o peggio, clinico, che quei casi accertati siano andati a negativizzazione fino ad appiattirsi nell’attuale plateau di sole cinque unità. Cifra e indicazioni erano attribuite al dottor Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri di Firenze. La doppia alterazione della variante indiana all’epoca venne indicata come interessante L452R ed aveva parallelismi con un’altra doppia variante isolata in California. 

I sintomi e la possibile terapia

E i sintomi? Gli studi più recenti dimostrerebbero che la capacità della variante indiana di eludere la risposta indotta dai vaccini con specifici anticorpi non ha relazione diretta con una sintomatologia diversa. Insomma, il covid a trazione indiana non farebbe né meno male, né più male del covid “classico”. Resta inelusa solo una domanda: se è vero che questa variante non risente della vaccinazione e che quindi non ha una pericolosità che andrebbe a scemare man mano che si immunizza la popolazione, come fare a frenarla in prospettiva futura e con le riaperture imminenti? In questo senso entra in gioco l’altro grande filone di lotta al covid che finora giocoforza è stato in secondo piano rispetto al target dell’immunizzazione: quello della cura. Vale a dire dell’individuazione di farmaci marcatamente efficaci che combattano i sintomi della malattia, non che prevengano il suo insorgere.