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Omicidio di Marta Russo, per non dimenticare

Omicidio Marta Russo

Nel 1997 la studentessa ventenne Marta Russo è stata uccisa da un colpo di pistola accidentale tra le vie della Sapienza di Roma.

Erano le 11.42 dell’8 maggio 1997. Marta Russo stava passeggiando nella Città Universitaria della Sapienza di Roma, in un vialetto interno che unisce le facoltà di Giurisprudenza, Scienze Statistiche e Scienze Politiche. Con lei, l’amica Jolanda. Non ha fatto in tempo a rendersi conto del rumore sordo, come quello generato da un silenziatore, che il proiettile le ha colpito la nuca, proprio dietro l’orecchio sinistro. È caduta a terra immediatamente, priva di sensi, mentre gli studenti e i docenti che hanno assistito alla scena hanno chiamato i soccorsi. La corsa disperata al Policlinico Umberto I è servita a poco, Marta era ormai in coma. Ci è rimasta per cinque giorni, prima che i medici dichiarassero la morte cerebrale e, secondo la volontà dei familiari, eseguissero il trapianto degli organi. Poi, le macchine che la tengono in vita sono state spente.

Un delitto irrisolto

La storia di Marta Russo è un mistero e un simbolo. Questa ragazza poco più che ventenne è diventata emblema della donazione degli organi, grazie a un gesto che alla fine degli anni Novanta era ancora considerato pionieristico e tutt’altro che scontato. Una decisione che lei stessa aveva maturato, dopo una lunga riflessione e dopo la visione di un documentario televisivo sul piccolo Nicholas Green. Il suo gesto ha dato vita a una onlus a suo nome dedicato alla donazione e al trapianto. Ma la sua morte è simbolo soprattutto, e purtroppo, delle zone d’ombra della giustizia italiana, che ha lasciato a lungo irrisolto e impunito un reato accidentale e inspiegabile come il decesso di una studentessa.

Un delitto che torna alla memoria nei giorni successivi a un’altra sparatoria avvenuta tra le vie della capitale. A pagare le terribili conseguenze di quello che, al momento, sembra trattarsi di uno scambio di persona è il giovane nuotatore Manuel Bortuzzo, paralizzato a causa di tre colpi di arma da fuoco.

Chi era Marta Russo

Marta era nata nella capitale il 13 aprile del 1975, da una famiglia residente nel quartiere Tuscolano. Con lei, insieme alla madre Aureliana e al padre Donato, viveva la sorella Tiziana, maggiore di tre anni. Dopo il diploma scientifico conseguito al liceo Cavour, ha deciso di iscriversi a Giurisprudenza. Un nuovo inizio, in campo accademico e sentimentale, grazie all’ingresso nella sua vita di un nuovo ragazzo, Luca. Gli amici sono concordi nel definirla una ragazza solare, calma e tranquilla, che conosce solo le armi bianche che le hanno consentito di diventare una giovanissima campionessa di scherma, seguendo le orme paterne.

Il giorno del funerale di Marta, la chiesa era gremita. A rendere omaggio alla studentessa romana c’erano esponenti di spicco del mondo politico, da Prodi a Veltroni, da Violante a Berlinguer. Migliaia i comuni cittadini che, colpiti dalla tragedia di una famiglia come tante, hanno voluto renderle un ultimo omaggio. Papa Giovanni Paolo II ha condannato il clima di odio in cui è morta una ragazza innocente. L’Università Sapienza le ha dedicato aule e targhe in tutto il campus e le ha assegnato una laurea alla memoria. In suo nome, negli anni, sono stati organizzati trofei di scherma, premi scolastici, parchi e istituti.

La donna a cui è stato trapiantato il cuore di Marta

Le indagini

Mentre ancora amici e familiari piangevano la sua scomparsa, la magistratura ha aperto un’indagine per individuare il responsabile di quel colpo di pistola. Dopo numerosi accertamenti e ricostruzioni balistiche, la scientifica ha ristretto il campo di indagine fino a poche finestre: quella del bagno per disabili della facoltà di Statistica e quelle del primo piano dell’edificio di Giurisprudenza. Sono gli uffici destinati agli assistenti universitari.

Parallelamente, si lavora sul movente, apparentemente inspiegabile. Tra le prime ipotesi avanzate dagli inquirenti c’è quella di un errore: il proiettile sarebbe stato destinato a un’altra persona, forse un’inserviente della Sapienza. Inizialmente non si esclude neppure l’ipotesi terrorismo (di destra o di sinistra, separatista o islamista), ma è presto evidente che né Marta né Jolanda sono in alcun modo legate a quegli ambienti. Tra i sospettati compare anche la criminalità organizzata (quella romana, ma anche Cosa nostra o la ‘Ndrangheta).

Scattone, omicidio Marta Russo

La svolta e gli arresti

La svolta arriva il 21 maggio, quando sul davanzale della finestra di un’aula del dipartimento di Filosofia vengono ritrovati quelli che appaiono subito come i residui dello sparo. Tutte le altre ipotesi vengono immediatamente accantonate. Gli inquirenti indagano su oltre 40 persone, tra cui la dottoranda Maria Chiara Lipari, la segretaria Gabriella Alletto e l’usciere Francesco Liparota. Lipari, in seguito a numerosi interrogatori, accusa l’assistente Giovanni Scattone e il suo collega Salvatore Ferraro. Quest’ultimo viene arrestato per favoreggiamento. In carcere ammette l’omicidio, ma in tribunale ritratta e accusa polizia e magistratura di averlo minacciato.

Al termine delle indagini, entrambi gli assistenti vengono arrestati per omicidio volontario, ma si dichiarano innocenti. Tra i testimoni ascoltati dal gip compaiono diversi studenti che affermano di averli sentiti discutere di un possibile delitto perfetto. Altri testimoni cercano invece di fornire loro un alibi e vengono accusati a loro volta di favoreggiamento. Mentre il processo procede con difficoltà, la stampa mette alla gogna mediatica i due principali sospettati.

Il processo

Il processo di primo grado ha inizio nel 1999. Giovanni Scattone viene giudicato colpevole e condannato per omicidio colposo e detenzione illegale di arma da fuoco. Salvatore Ferraro è riconosciuto colpevole solo di favoreggiamento e viene prosciolto dall’accusa di omicidio. Assolti tutti gli altri imputati.

La sentenza di primo grado viene confermata in appello, con un lieve aumento della pena per entrambi gli imputati. Ma nel 2001 la Corte di Cassazione bolla la sentenza come viziata e contraddittoria per via di alcune perizie considerate non idonee e quindi annullate. Scattone e Ferraro sono rinviati a un secondo processo d’appello, nel corso del quale la loro condanna viene confermata con una lieve diminuzione di pena. Una seconda diminuzione viene stabilita dalla Cassazione nel 2003, per un totale di cinque anni e quattro mesi per Scattone e quattro anni e due mesi per Ferraro.

Scattone di nuovo in cattedra

Un dolore, quello della famiglia di Marta Russo, che si è rinnovato nel 2015, quando si è diffusa la notizia che Giovanni Scattone sarebbe tornato a insegnare. L’ex assistente di Filosofia del diritto è tornato in cattedra all’Istituto professionale Einaudi, dopo aver regolarmente vinto il concorso nel 2012. “È assurdo che continui a insegnare”, è il commento della madre della studentessa. Una beffa, per alcuni; una giusta riabilitazione e reinserimento nella società al termine della pena, per altri. Un caso che, a vent’anni di distanza, non cessa di far discutere.