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Gela, l'ultimo saluto all'imprenditore antiraket: "Eri troppo onesto"

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Greco era stato accusato dai suoi estorsori di avere rapporti con la mafia. Assolto in Tribunale, lo Stato negò alla sua ditta un'importane appalto.

Gli stessi mafiosi che aveva fatto condannare lo accusarono di avere rapporti con la malavita del posto. Riccardo Greco, imprenditore simbolo della lotta al raket di Gela, si è sparato un colpo di pistola alla tempia. Trascinato il tribunale dai suoi estorsori con l’accusa di avere rapporti con la mafia, l’imprenditore era stato poi assolto. Ma nell’ottobre scorso, dal prefetto era poi arrivata l’interdittiva che gli ha fatto perdere un importante appalto. Il ministero dell’Interno aveva negato alla sua ditta, la “Cosiam srl“, l’iscrizione nella white list per i lavori di ricostruzione dopo il terremoto in centro Italia.

I funerali di Riccardo Greco

Si sono tenuti presso la chiesa Sant’Antonio della città i funerali dell’imprenditore gelese, morto suicida nella sua azienda. Ad accompagnare il feretro la moglie Enza e i figli Francesco, Paola e Andrea. Una famiglia spezzata dal dolore per la morte e dal senso d’ingiustizia: “Eri troppo onesto, papà e proprio perché eri così onesto non potevi stare fra di noi” sono le parole commosse del figlio maggiore, Francesco Greco, conosciuto in città come presidente della Micchitella Gela. “Hai combattuto fino alla fine, ogni giorno, per creare una società più giusta – ha proseguito il figlio nel saluto – adesso proveremo noi a combattere per te. Cercherò di essere la tua mente e la tua voce. Il tuo gesto, papà, che suona come un grido, non rimarrà vano, ma proseguirà nelle sedi opportune”. In chiesa si sono radunati per un’ultimo saluto all’imprenditore i dipendenti della sua azienda, ma anche diversi imprenditori locali e associazioni sportive insieme all’associazione antiraket “Gaetano Giordano”. “Tanto ci hai insegnato e tanto dovevi ancora insegnarci, papà – ha concluso Francesco Greco – oggi avrei voluto gridare, ma non lo farò per non riempire le orecchie dei curiosi. Preferisco dedicare a mio padre questi ultimi minuti insieme, ricordando non l’imprenditore, ma l’uomo gentile e generoso che era“.

Il suicidio

Il corpo esanime di Riccardo Greco è stato trovato dal figlio e da alcuni dipendenti della sua azienda: quella mattina racconta Francesco, “Mio padre non era in ufficio. Mi sono insospettito. Anche perché aveva lasciato la fede e l’orologio a casa. Abbiamo iniziato a cercarlo. Era dentro un container, poco distante, in una pozza di sangue”. L’imprenditore non ha lasciato neanche un biglietto, quel giorno alla moglie aveva detto che andava in azienda per guardare alcune carte, ma qualche indizio di quel fatale gesto era trapelato nei giorni precedenti il suicidio: “Ormai il problema sono io – avrebbe detto alla moglie -. Se vado via, i miei figli sono a posto”. Negli ultimi mesi l’umore di Greco si era fatto sempre più scuro, il senso d’ingiustizia sempre più pesante sulle sue spalle e il clima di persecuzione che sembrava seguirlo da diversi anni era ormai diventato intollerabile.

Il coraggio di Greco

Denunciare i boss del pizzo mi è costato caro“, ripeteva alla moglie negli ultimi tempi. “Era finito dentro una storia paradossale”, racconta il figlio Francesco. “I mafiosi che aveva fatto condannare lo avevano denunciato. Ma, poi, ovviamente, era arrivata l’assoluzione. Il giudice aveva ribadito che Greco era stato vittima della mafia, non socio in affari dei boss”. Ma non è bastata quell’assoluzione. L’ultima sentenza d’interdizione antimafia giunta dal Viminale motivava così la revoca delle commesse pubbliche e private per la ditta di Greco: “Nel corso degli anni ha avuto atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese”. Una sentenza che lascia basito l’avvocato Alfredo Galasso, che in una dichiarazione, ripresa da Repubblica, ha ricordato l’attivismo antiraket di Greco: “Ma come si fa a dimenticare che aveva denunciato? – dice il legale -. Proprio con la denuncia aveva scelto di non essere più supino a quel sistema che vigeva a Gela”.

Denunciò i boss nel 2007

Nel 2007, l’imprenditore siciliano aveva sporto denuncia contro i boss della Stidda e di Cosa nostra, convincendo altri sette imprenditori a seguire quella strada. Erano state proprie quelle denunce a muovere il blitz ribattezzato “Munda Mundi”, maxi operazione che condusse a undici arresti e condanne per 134 anni per associazione mafiosa. “Era la primavera di Gela – dice il figlio di Greco – mio padre ne andava orgoglioso. Ma non era stato affatto semplice”. Nel corso dei processi gli imputati gettarono diverse ombre su chi aveva avuto il coraggio di alzarsi in piedi: “Ma quale pizzo, gli imprenditori pagavano il nostro sostegno. E spartivamo gli utili”. Una tesi poi smentita a tutti i gradi di giudizio. Un’assoluzione che a quanto pare non era bastata a convincere il Viminale. Ora la famiglia e gli amici si stringono nel dolore per la perdita che appare come l’ennesima sconfitta di un’intera società.