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Dj Fabo: morire è lecito, ma non ancora legale

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Ci sono casi in cui decidere di staccare la propria spina è giusto, ma in Italia non era normato e non lo è ancora.

Quando a spremer via una legge da un fatto è il buon senso dei giudici e non la tempestività dei politici non va mai bene, ma a volte è necessario. Come per Fabo. Lui era nato Fabiano, perché sì, Dj Fabo era un simbolo, ma Fabiano era un uomo, un uomo morto che attendeva di morire in un paese che lo impediva anche quando morire era giusto.

Perché si, ci sono casi in cui scegliere di staccare la spina, la propria spina, semplicemente è giusto, senza orpellame retorico o anatemi codini. Ma in Italia non era normato, e non lo è ancora. Ci ha dovuto pensare la Consulta a colmare il vuoto, portandosi due spanne avanti rispetto ad una politica litigiosa e terragna che si fa lepre sui temi a breve termine che le portano consensi e bradipa sulle grandi questioni etiche che la dovrebbero condurre al decoro dei grandi ambiti di azione.

Dignità finale e suprema

Una politica spiccia, tignosa e cerchiobottista che, proprio secondo i giudici di Palazzo dei Marescialli, doveva pagare cambiale all’urgenza in questione e legiferare entro il 19 ottobre sul tema del suicidio assistito e proprio nell’imminenza della seduta che avrebbe dovuto esaminare il caso di Dj Fabo. Non lo aveva fatto e sei giorni dopo le toghe hanno dovuto mettere il Diritto in corsia di sorpasso rispetto alla Politica: in casi specifici e di clamorosa evidenza circostanziale come quello di Dj Fabo Non è punibile ai sensi dell’articolo 580 chi agevola la volontà del paziente affetto da patologia irreversibile”.

Tradotto e scusate se è poco: se liberamente decidi di metter fine alla tua vita, se soffri nel fisico e nell’animo in maniera che ritieni insostenibile, se sei in pace con l’astrusa tirannide burocratica del consenso informato e se i comitati etici competenti nulla ostano chi dovesse aiutarti in questa tua decisione non è indagabile per istigazione al suicidio.

Chi lo facesse è solo un amico, il migliore amico dell’universo, che ti mette in condizioni materiali di espletare la tua volontà e salutare un’esistenza che di vivo non ha più nulla e che si stempera nel monocolore del piscio che ti drenano via ogni giorno. Come Marco Cappato, che aveva estradato il diritto a morire di Dj Fabo in terra elvetica e lo aveva accompagnato presso la clinica Dignitas a ritrovare la sua, di dignità, quella finale e suprema.

Indispensabile un intervento normativo

I giudici l’hanno detta e scritta ancora più chiara: c’è bisogno di un “indispensabile intervento normativo” perché in Italia il Diritto consuetudinario lo applicano loro, ma gli ambiti della sua applicazione li fissa il Parlamento, però a tempi invertiti, cioé con la politica che fa prima le leggi e le toghe che poi le spalmano sulle umane vicende.

Quello di Dj Fabo e Cappato è invece paradosso e paradigma al contempo, entrambi miserrimi a voler contare le nostre ambizioni di paese civile e moderno nella forma ma beccamortaro e gotico nella sua polpa recondita. E il guaio, ancorché sospetto, è che dietro non vi siano strategie sistemiche di un potente e tentacolare contro sistema etico, ma solo l’inerzia di una classe politica che piega la legiferazione agli interessi di bassa macelleria e vegeta crassa su tempi inconcepibilmente lunghi.

Al di là dell’evidenza di una sterzata epocale su una materia che, in un’Italia laicheggiante ma non laica, da sempre cozza contro altissimi muri di incenso, l’impatto del pronunciamento della Consulta non sta in ciò che ha stabilito, ma in ciò che ha dovuto colmare per stabilirlo: il gap clamoroso fra ciò che giustizia invoca e ciò che legge norma, fra l’autodeterminazione estrema ma cosciente e il tallone di ansimanti predicozzi che dovrebbero piegarsi alla storia e non piagarla.

Non è un problema di fede, non lo è mai stato, è semplicemente che l’uomo può portare le sue croci fino ad un certo punto. Perché è un uomo e perché l’uomo ha diritto a vivere in un sistema complesso che si, metta in conto e codifichi in punto di diritto anche le sue paure, anche il suo dolore, anche la voglia irrefrenabile di mettervi fine.

Come per Dj Fabo, nato Fabiano Antoniani, e per Eluana, Piergiorgio, Luca e tutti quelli che avevano dovuto maledire non solo i letti dove marcivano lenti, ma anche le regole che a quei letti li tenevano legati stretti. Tanto stretti da morire vivendo.