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Coronavirus in Italia, è mancato il coraggio di fermare tutto

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I lavoratori che se lo possono permettere stanno a casa, altri sono costretti a continuare ad andare a lavoro: anche nell'ultimo decreto del Governo sul Coronavirus è mancato il coraggio di fermare tutto.

L’Italia non è chiusa, è socchiusa. È mancato il coraggio di fermare tutto: l’unica mossa che avrebbe tolto il pane di bocca alla miriade di polemiche che impazzano. E che avrebbe davvero fatto rendere conto ai tanti che ancora si preoccupano di fare la passeggiata, che o si entra in un tutt’altro ordine di idee, capendo che non stiamo in un film e che la realtà ha superato la fantasia, o usciremo di casa fra due/tre mesi e non fra due/tre settimane.

Ad essere presi d’assalto dall’alba, dopo il terzo inquietante videomessaggio serale di Conte, non sono stati market e distributori ma i social, su cui s’è sfogata rabbia e paura.

I lavoratori che se lo possono permettere stanno a casa, altri sono costretti a continuare ad andare a lavoro, o possono scegliere, proseguendo a portare in giro il Coronavirus.

Certo per quanti miliardi il governo potrà tirare fuori non riuscirà mai a pagare la cassa integrazione a un Paese intero, ma anche quei minuscoli provvedimenti economici adottati, come la sospensione di rate e bollette (per non parlare dell’impraticabile bonus babysitter), che senso hanno se poi ce le ritroveremo tutte intere, a fine emergenza, ma con le tasche vuote?

Come saldare il fardello di imposte accumulate, per chi è stato per mesi a entrate zero e deve ricominciare da capo? Le tasse andrebbero proprio cancellate, per i mesi interessati dal super decreto. O le misure drastiche sono solo quelle che riguardano il nostro libero movimento?

E perché far girare ancora bus, tram, metro e treni se anche per fare la spesa sotto casa serve l’autocertificazione? Non è possibile controllare decine di milioni di cittadini, annotandosi il nome per verificare poi la veridicità di quanto dichiarato. E multarli con appena 206 euro, nell’impossibilità di accertare che abbiano il Coronavirus, giacché nessun giudice opterà per l’arresto in questo momento di caos nelle carceri. Dobbiamo auto-responsabilizzarci, essere poliziotti di noi stessi.

Troppe le attività rimaste fuori dal blocco. A che serve tenere aperte profumerie, negozi di animali, gli ottici, i tabacchi, i ferramenta e tutte le categorie di lavoratori (deboli) che li riforniscono? Chi definisce quali sono i beni “essenziali”?

Anche settori strategici come alimentari e sanitari dovevano prevedere restrizioni. Va detto che, almeno per chi lavora esclusivamente in quei due comparti, la circolazione anche tramite mezzi pubblici va mantenuta.

E che molte fabbriche, come quelle che producono ventilatori e presidi per la rianimazione, si servono da altre industrie, come acciaierie e raffinerie, per le materie prime con cui produrli.

Il cosiddetto indotto, purtroppo, è necessariamente molto elevato e riguarda i meno protetti, tutelati e considerati: metalmeccanici, facchini, magazzinieri, operai spesso sottopagati. Ma ulteriori strette si possono e si debbono fare. Quando inizierà, ad esempio, la sanificazione di strade, scuole e mezzi pubblici?

Aspettiamoci dunque, tra un altro paio di notti, la quarta conferenza stampa al cardiopalma del premier, in cui probabilmente verrà attuato tutto questo.

È la chiusura totale il sentiment dei cittadini, che pur avendo molto più da perdere dei politici a livello economico, si stanno mostrando, in queste ore in Rete, di gran lunga più responsabili di tanta parte della classe dirigente.

Perimetrare all’estremo merci e persone fisiche circolanti, e abolire ogni tributo nel periodo del decreto per chi non ha avuto entrate. Altrimenti, finito il Coronavirus, l’emergenza economica diventerà anche sociale.

Si può fare: in Cina, dove la quarantena è stata imposta e rispettata in maniera esemplare, morti e contagi diminuiscono e si sta vincendo la battaglia.

Ne usciremo comunque più poveri e psicologicamente logorati, ma ne usciremo. È la sola strada.