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Sea Watch 3, il Consiglio d'Europa: "La Libia non è un porto sicuro"

Sea Watch sindaco di Livorno

Matteo Salvini firma divieto di ingresso per la Sea Watch ma la Ong si rifiuta di far sbarcare i migranti in Libia. Il monito del Consiglio d'Europa.

Continua a far discutere il caso della Sea Watch 3, dopo che il governo italiano ha ribadito la sua politica dei porti chiusi. Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa chiarisce infatti che i migranti non possono essere ricondotti in Libia.

Il porto sicuro

“Piuttosto che tornare in Libia, preferirei morire. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato” assicura Hermann, uno dei migranti a bordo della Sea Watch 3. Il 15 giugno il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha annunciato infatti di aver “firmato il divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Ong Sea Watch 3 nelle acque italiane, come previsto dal nuovo Decreto Sicurezza”.

A stretto giro però un portavoce della Commissione europea aveva ricordato che in base alle norme di diritto internazionale le persone salvate devono essere portate in un porto sicuro è “queste condizioni non si ritrovano in Libia“.

Posizione ribadita anche da Dunja Mijatovic, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che chiarisce: “I migranti salvati in mare non dovrebbero mai essere sbarcati in Libia, perché i fatti dimostrano che non è un Paese sicuro”.

Sospendere collaborazione con la Libia

Dopo aver chiesto quindi che venga “tempestivamente indicato” alla “Sea Watch 3 un porto sicuro che possa essere raggiunto rapidamente”, Mijatovic sottolinea: “Sono seriamente preoccupata per l’impatto che alcune parti del decreto Sicurezza bis potrebbero avere sulla vita delle persone che necessitano di essere salvate in mare”.

Il commissario esorta inoltre gli Stati membri dell’Unione europea a sospendere ogni collaborazione con la Libia finché non sarà provato che non sono violati i diritti umani delle persone sbarcate sulle sue coste. “Si deve mettere fine alla politica di chiudere i porti per tutte le Ong – conclude infine Mijatovic -, di proibire la navigazione in acque territoriali o in certe aree in quelle internazionali”.