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Dopo Brexit, Camera dei Comuni approva recesso all'accordo Ue

Boris Johnson durante il suo intervento al voto di ieri alla camera dei Comuni

Passa alla House of Commons la legge di modifica dell'Accordo di Recesso per il dopo Brexit. Troppo azzoppata la maggioranza.

Con 340 voti favorevoli e 263 voti contrari, passa alla Camera dei Comuni il disegno di legge sulla modifica degli Accordi di Recesso (Withdrawal Agreement) per il dopo Brexit che il Regno Unito ha già firmato con l’Unione Europea.

Nonostante la maggioranza molto risicata a causa di alcune defezioni tra le fila dei Tory, è bastata la seconda lettura del provvedimento sul voto in aula per permettere ai repubblicani capitanati dal premier Boris Johnson di giocarsi le proprie carte riguardo quello che da più parti è stato già definito voto di recesso Brexit e che, per molti deputati astenutisi durante lo stesso, altro non è che una legge che tradisce le promesse con l’Unione Europea e che mira a rimangiarsi la parola data con Bruxelles.

Dopo Brexit, voto recesso contestato

Bruxelles che, intanto, è su tutte le furie, e spera che nei prossimi giorni il voto subisca una debacle e venga rimesso in discussione. Il progetto di legge, secondo gli europeisti, rivede ex novo, e senza un accordo internazionale europeo, lo status commerciale e doganale dell’Irlanda del Nord.

Il primo ministro britannico Johnson – che ha addirittura lanciato un ultimatum alla Ue – sta usando una norma nazionale, l‘Internal Market Bill, per piegare a proprio piacimento gli impegni presi con la Ue, un modus operandi che violerebbe di fatto ed in maniera esplicita il diritto internazionale e che potrebbe arrecare alla Gran Bretagna significative risoluzioni e conseguenti sanzioni.

Per questo motivo il fronte del ‘no’ intanto scommette di crescere e far ritornare sui propri passi l’attuale inquilino di Downing Street. Tra di essi, come riporta Il Sole 24 Ore, oltre all’ex premier David Cameron ci sono anche i conservatori Theresa May e John May accanto ai laburisti Tony Blair e Gordon Brown.