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Giornaliste afghane salvate dall'Italia: "I Talebani dividevano con un bastone chi poteva lasciare Kabul e chi no"

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Da Herat a Kabul per fuggire ai Talebani, fino all'Italia dove hanno ricevuto il premio per il Giornalismo Giudiziario e Investigativo 2021: Arezoo e Ghazal Yahya Zadeh raccontano la propria storia a Notizie.it.

96 giorni. Tanto è passato da quando i Talebani sono entrati a Kabul, hanno preso il potere e instaurato un regime che ha fatto precipitare l’Afghanistan indietro di 20 anni. Sono bastati meno di un centinaio di giorni per far scomparire dai social, dalle raccolte fondi e dalle pagine di giornali tutto ciò che riguarda l’Afghanistan.

L’Occidente, ancora una volta, ha la memoria corta. Kabul, condannata a una maledizione che sembra destinata a non morire mai, è tornata relegata tra le montagne di un Paese lontano che in pochi sanno indicare su una carta geografica, figuriamoci prestare attenzione al destino di un popolo che, nel sentire comune, “è abituato alla guerra”. Come se ormai “è così che succede”, come se decenni di invasioni, soprusi, diritti umani calpestati alla luce del sole bastassero a costituire una giustificazione.

6.500 km separano Milano da Kabul, poco meno da Herat, ma quando guardo negli occhi Arezoo e Ghazal Yahya Zadeh i nostri mondi sembrano sfiorarsi anche solo per un attimo. Anche loro giovani donne, anche loro giornaliste con il desiderio di conquistare la propria indipendenza e di raccontare, con la propria voce e la propria penna, la realtà in cui sono immerse.

Qui, però, le analogie finiscono. Lo scorso 15 agosto, mentre noi eravamo a festeggiare Ferragosto con amici e famiglia, Arezoo e Ghazal hanno capito improvvisamente che il mondo per come lo conoscevano era finito. Da Herat hanno raggiunto Kabul e da lì l’Italia, àncora di salvezza che non solo ha dato loro un porto sicuro ma le ha anche insignite del premio Europeo al Giornalismo Investigativo e Giudiziario 2021.

A Notizie.it, le sorelle Arezoo e Ghazal Yahya Zadeh raccontano la loro storia.

Intervista ad Arezoo e Ghazal Yahya Zadeh

Il 15 agosto segna uno spartiacque nella storia dell’Afghanistan. C’è un prima e un dopo la caduta di Kabul nelle mani dei Talebani e il ritorno a un regime da cui il Paese era faticosamente riuscito a liberarsi. Com’era la vostra vita prima di quel momento?

Ghazal: Prima di questa data noi vivevamo già in una situazione molto difficile. C’era tanta discriminazione, soprattutto nei confronti delle donne. Nonostante tutto, siamo riuscite a entrare a far parte di un giornale locale, a Herat.

Arezoo: Prima della presa della capitale, le donne specialmente cercavano in qualsiasi situazione di lottare per i loro diritti. Sembrava che tutto stesse andando per il verso giusto. Ma poi è arrivato il 15 agosto.

Quali diritti mancavano già prima di quella data?

A: Tutti i diritti: il diritto di studiare, di sposarsi, di scegliere. Niente di tutto questo era possibile per le donne, e non lo è tutt’ora.

La presa di Kabul e il ritorno dei Talebani vi ha colto di sorpresa o ci sono state delle avvisaglie che vi hanno fatto immaginare quello che sarebbe successo?

G: No, non ce l’aspettavamo prorpio. Quando la guerra è cominciata nei paesi limitrofi non ci saremmo mai aspettate che prima Herat e poi Kabul cadessero nelle mani dei Talebani.

A: La caduta di Herat ci ha fatto perdere tutto quello che avevamo conquistato in 20 anni.

L'interno di un C 130 militare italiano

Dove vi trovavate ad agosto di quest’anno?

G: Ci trovavamo a Herat il 15 agosto, poi, 2-3 giorni dopo la caduta di Kabul, siamo fuggite fino a raggiungere la capitale.

Cosa avete trovato a Kabul? Com’è oggi la città?

G: Adesso la situazione è drammatica. Tutte le donne, anche quelle che un tempo lavoravano, ora sono chiuse in casa e non hanno alcun diritto. I Talebani hanno la mentalità di sempre, impediscono alle donne di esprimersi, di poter parlare, impediscono loro di lavorare e studiare. Possono solo occuparsi della casa e fare le madri.

Prima della caduta di Kabul che tipo di rapporti avevate con l’Italia?

A: Prima del 15 agosto c’era un campo a Herat dove facevano lezioni per i giornalisti afghani. Lì abbiamo conosciuto due persone, Francesca e Rosa. Dopo il 15 agosto, Francesca ci ha ricontattate per sapere come stavamo. Prima della sua chiamata non avevano nessuna speranza, perchè i Talebani hanno una pessima reputazione delle donne indipendenti, che pensano e lavorano. Dopo la caduta di Herat cambiavamo casa ogni giorno per nasconderci.

G: In quei giorni Herat era completamente vuota. Una paura immensa aveva preso l’intera città, si sentiva nell’aria, non si vedeva nulla, le strade erano un deserto. È impossibile scrollarsi di dosso il terrore di quei giorni e il vuoto, lo spaesamento che si percepiva.

Kabul

Voi siete riuscite a nascondervi e a cambiare casa. Ci sono, invece, delle amiche e delle conoscenti che sono state trovate e catturate?

G: Sì, ci sono molte persone che conosciamo in quella situazione. Molte giornaliste sono state prese, picchiate, violentate. Ci sono ancora molte donne forti, con carattere, che stanno lottando ogni giorno, che sono in strada a fare la rivoluzione e a lottare per i loro diritti e per far vedere al mondo che esistono, non sono scomparse.

A: Scusateci, non vogliamo dire di più per non mettere in pericolo membri della nostra famiglia che oggi non sono qui insieme a noi.

Come siete riuscite a fuggire dall’Afghanistan e ad arrivare qui?

A: Francesca ci ha chiamato e noi le abbiamo detto che non stavamo bene, avevamo molta paura perché Herat era ormai in caduta. Lei ci rispose: “Non abbiate paura, fidatevi di me”. Prima della sua chiamata non avevamo nessuna speranza, vedevamo la morte negli occhi. Dopo aver parlato con lei abbiamo visto accendersi un barlume di speranza: abbiamo cominciato a pensare che forse, in qualche modo, saremmo riuscite a sopravvivere.

G: Ci siamo spostate di nascosto da Herat a Kabul, ma sulla strada che collega le due città i Talebani avevano messo un posto di blocco. Abbiamo dovuto viaggiare senza documenti e indossare un burqa per poter passare i controlli.

Vi siete spostate da sole o con un uomo, per ragioni di sicurezza, considerando quanto prevede la legge talebana?

G: Il target dei Talebani non è la singola persona ma tutta la famiglia. Per quello non abbiamo permesso agli amici di stare fisicamente con noi: sarebbe stato un pericolo anche per i loro cari. Siamo state accompagnate da un parente per tutto il tragitto.

A: All’aeroporto di Kabul abbiamo vissuto una situazione bruttissima. È difficile parlarne, fa male, ma voglio raccontarvelo. Quando siamo arrivate c’era una situazione spaventosa, tutti erano mossi da una grande paura e dalla speranza di riuscire a scappare. Tutti temevano per la propria vita. La prima sera che eravamo in aeroporto abbiamo cercato di arrivare almeno all’entrata principale, ma c’era troppa gente e non ce l’abbiamo fatta.

Aeroporto Kabul

Quanti giorni siete rimaste?

A: Due giorni, gli ultimi prima che i Talebani chiudessero completamente l’aeroporto. I nostri amici erano molto preoccupati, per questo ci avevano mandato dei simboli per farci riconoscere da chi lavorava lì in aeroporto e farci passare.

Che tipo di simboli?

A: Intorno al polso avevamo una cordicina rossa e sulle mani dipinte una F e una R. Il secondo giorno siamo arrivate all’entrata principale. Lì ci siamo resi conto che c’erano tentissime persone che come noi avevamo nastri rossi e lettere sulle mani. Così i militari italiani non potevano distinguerci e hanno dovuto rimandarci indietro. Non mi dimenticherò mai il messaggio di Rosa: “Dovete farcela, questa è la vostra ultima possibilità per entrare”. Erano gli ultimi momenti prima che chiudessero le porte dell’aeroporto. Abbiamo cercato per l’ultima volta di mostrare i nostri segni e, oltre a questi, un cartello su cui avevamo scritto “Tuscania”. Insieme a quel foglio siamo andate verso l’entrata.

C’era così tanta gente che a mia sorella mancò il respiro. Siamo andate avanti comunque finchè non abbiamo visto la bandiera italiana sul braccio dei militari. Allora sono state accolte dentro l’aeroporto. Noi siamo andate avanti ma mio marito, mio figlio, mia madre, tutto il resto della mia famiglia sono rimasti dall’altra parte. In quel momento abbiamo assistito a una scena particolarmente crudele: un talebano, con un grosso legno in mano, ha separato brutalmente chi poteva passare e chi invece è rimasto fuori.

Hanno separato anche madre e figlio?

A: Sì, hanno separato chiunque stava cercando di entrare nell’aeroporto. Vedevamo scene molto crudeli: persone che sanguinavano, che non riuscivano a respirare.

falling man kabul

Subito dopo la presa di Kabul gli occhi di tutto il mondo erano puntati sull’Afghanistan. Oggi, a distanza di tre mesi, non vi sentite un po’ abbandonate dall’Italia e dall’Occidente in generale?

A: Sì, non solo noi abbiamo questa sensazione ma anche le persone rimaste in Afghanistan hanno la stessa impressione.

G. Vediamo tante foto di famiglie in grande povertà, vedismo che per colpa dei Talebani che hanno preso tutto il paese stanno obbligando le ragazzine a sposarsi, vendono i propri figli e le proprie figlie per guadagnarsi da vivere. Il mondo si è scordato dell’Afghanistan. Tutto quello che avevo costruito e per cui avevano lottato negli ultimi 20 anni è stato disintegrato ma l’Occidente non se ne rende conto, lo ha dimenticato.

Come vedete il futuro dell’Afghanistan? Riuscite, nonostante tutto, a essere ottimiste?

G: Adesso la situazione è molto brutta, che peggiorerà di giorno in giorno.

A: Vi chiediamo, dal profondo del cuore, di non riconoscere mai il regime talebano perchè è un regime terrorista. Finché i talebani resteranno in Afghanistan la donna sarà completamente disintegrata. Non sono passati neanche tre mesi da quando i Talebani sono arrivati al potere e già impediscono alle donne di lavorare, di studiare, obbligano le ragazze a smettere di studiare e a sposarsi, le famiglie sono costrette a vendere qualsiasi cosa per sopravvivere, compresi i figli.

È un piacere per noi dare voce alla vostra storia – alla vostra e a quella di moltissime e moltissimi afghani come voi – così come è un piacere sapere che riceverete un riconoscimento prestigioso come l’European Award Investigative and Judicial Journalism 2021. Cosa avete provato a ricevere questa nomination?

G: Noi siamo qui a testa alta, rappresentiamo tutte le donne dell’Afghanistan.

A: Questo premio non è solo nostro, è un premio a tutte le donne che hanno lottatto con coraggio e con dignità. Oggi colgo l’occazione per chiedere aiuto per l’Afghanistan, chiedo a tutti una mano per permettere al nostro Paese di rimettersi in piedi e di ricominciare il suo cammino. Noi siamo fiere di essere afghane e a tutti gli afghani vogliamo dire: siamo fieri di voi, della forza che avete dimostrato e che continuato a dimostrare.

(Si ringrazia l’interprete Sara Leyla Mohammadi per l’aiuto fornito nella traduzione durante l’intervista).