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Gli ospedali per i morti: un'usanza in epoca vittoriana

Ragazza in stato catatonico

Cos’erano gli “ospedali per i morti”? In che periodo e perché vennero istituiti? L’obiettivo era cercare di evitare che vi fossero sepolti vivi.

Il fenomeno

Avete mai provato la sconvolgente paura di essere sepolti vivi? E’ frequente soprattutto in chi ha sofferto di catalessi, la cosiddetta “morte apparente”, uno stato simile alla narcolessia. E’ caratterizzato da rigidità muscolare incontrollata, un po’ tipo quello che si riscontra nei pazienti catatonici. Soltanto nell’Ottocento, in epoca vittoriana (1837 – 1901) i medici furono in grado di definire questa situazione: quella di persone che sembravano morte, e quindi potevano essere sepolte.

Si trattava di un rischio che generò un’angoscia diffusa nella società, nel periodo in cui tra l’altro era attivo lo scrittore americano Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – 7 ottobre 1849), considerato il padre della moderna letteratura dell’orrore, influenzata dalla narrativa gotica data nella metà del secolo precedente.

Lo scrittore

Si cercò dunque di prevenire la possibilità di essere sepolti vivi, creando i cosiddetti “ospedali per i morti” o “obitori di attesa”, in cui i “morti” avevano il tempo di svegliarsi.

Gli “ospedali per i morti”

Il caso

In questo tipo di ospedali i pazienti “ritenuti” morti, venivano tenuti sotto osservazione per due giorni, proprio per verificare se si svegliavano. Perciò c’era a disposizione del cibo, vino e persino sigari, nel caso ci fossero delle persone che “tornavano alla vita” e avessero bisogno di rimettersi in forze. Ciò non significa che i medici avessero capito il meccanismo della catalessi, ma era comunque un passo avanti.

Spesso, in quell’epoca, i “morti apparenti” – per qualche motivo come la schizofrenia, gli attacchi isterico-epilettici o il tetanismo – vennero addirittura fotografati, dando un effetto davvero raccapricciante, se non fosse che non erano morti veri. Praticamente era una sorta di planking, ma le persone erano tenute con la faccia in su o di fianco e non verso terra, come invece avviene in quel gioco che alcuni fanno oggi, distendendosi tipo tavole di legno in un luogo strano o in cui non ci si aspetterebbe di vedere una cosa simile, come un prato.

Un tale stato comportava l’insensibilità al dolore – come verificavano i cosiddetti “test di insensibilità”, raccapriccianti pratiche di rottura delle dita e di clisteri con fumo di tabacco: se il soggetto si svegliava, significava ovviamente che non era morto -. Nei casi in cui era più difficile stabilire il decesso della persona, la si metteva nella bara, ma all’interno si metteva anche un corno e una campana per darle la possibilità di avvisare, anche dal sottosuolo, che dentro c’era ancora una persona viva. Questo tipo di bare erano dette “di sicurezza” ed alcune erano provviste addirittura di una dose di veleno, che consentiva una morte più rapida, nel caso in cui una persona sepolta viva non riuscisse a farsi sentire in superficie: un vero e proprio orrore.

Effetti incerti

Non si è mai saputo se tutti questi accorgimenti abbiano in realtà salvato pazienti catatonici, anche perchè il loro disturbo sarebbe stato identificato molti anni più tardi, dopo essere stato anzi indotto attraverso l’ìpnosi. Se non altro si aveva meno paura di essere sepolti vivi.

Attualmente la catatonia o catalessi è un fenomeno abbastanza conosciuto e fa parte dei cosiddetti disturbi del sonno REM (fase Rapid Eye Movement, rapido movimento dell’occhio), nei quali rientra la narcolessia. Anche l’uso di droga può portare al uno stato simile, a cui si può rimediare con tecniche di rilassamento o assumendo particolari farmaci che permettono di vivere meglio e contrastare la paura – mai veramente sopita – di essere sepolti vivi.