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Il problema non sono i fascisti, ma chi non prende posizione

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Cominciamo a chiamare le cose col proprio nome: legittimazione, pericolosa normalizzazione. Meglio non disturbare “il can che dorme”: può tornare utile quando c’è da votare.

Oggi è difficile che qualcuno non condanni gli attacchi vili e squadristi degli estremisti di destra alla sede della Cgil: un gesto così eclatante non può che trovare unanimi biasimi in un Paese democratico. Ma un Paese è realmente “democratico” soltanto se mette in pratica realmente ciò che prescrive la nostra Costituzione e le sue leggi giorno dopo giorno e non solo davanti all’episodio straordinario. Se il nostro ordinamento prevede che «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista», bisognerebbe fare in modo che tale divieto venga esercitato sempre. Quotidianamente.

Al di là delle manifestazioni brutali di uno sparuto gruppo di nostalgici e retrogradi, il vero problema – di cui troppo poco si parla – è da imputare a chi legittima tutto questo. E non si può non partire dai due maggiori partiti di destra: Fratelli d’Italia e Lega.

L’emblema di cosa voglia dire legittimare – suo malgrado – le azioni violente a cui abbiamo assistito è quanto dichiarato da Giorgia Meloni: «Ciò che è accaduto a Roma è sicuramente violenza e squadrismo, poi la matrice non la conosco. Nel senso che non so quale fosse la matrice di questa manifestazione, sarà fascista, non sarà fascista, non è questo il punto». E invece è proprio questo. Sarebbe fin troppo offensivo pensare che la Meloni non sappia quale sia «il punto» o la matrice delle azioni a cui abbiamo assistito (ci sono d’altronde indagini e arresti a testimoniarlo per tutti), dunque l’unica opzione rimasta è che si faccia finta di nulla.

Esattamente come è convenuto, forse, far finta di nulla quando il 28 novembre 2019 (giorno di “commemorazione” della marcia su Roma) si tenne una cena ad Acquasanta, in provincia di Ascoli Piceno, dove trionfavano dappertutto fasci littori, immagini del Duce (anche sul menù) e motti del ventennio. Tra i commensali c’era anche il deputato meloniano Francesco Acquaroli che due anni dopo è stato candidato da FdI e da tutto il centrodestra alle regionali marchigiane ed è poi diventato governatore. Anche in quella circostanza dal partito non si levò alcuna voce. Un po’ come capitato nella Lega con la vicenda di Claudio Durigon e della sua bislacca idea di dedicare Piazza Falcone e Borsellino ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Ci sono volute settimane e un polverone politico-mediatico per “obbligare” Durigon alle dimissioni.

Di casi simili sono pieni anche i consigli regionali e comunali, oltreché il Parlamento. E tutti – strana coincidenza – riguardano esponenti di FdI e Lega. Ovviamente qui nessuno sta dicendo che le dirigenze dei partiti siano di per sé “fasciste”, ma il dubbio è che l’eccessivo silenzio che avvolge i due leader davanti a episodi e dichiarazioni di questo tipo nasca – a meno che non ci sia un’altra ragione – dal desiderio di non disturbare “il can che dorme” perché può tornare utile quando c’è da votare. La mancanza di condanna, dunque, sembra avere ragioni elettorali. Saremmo felicissimi se venissimo smentiti con azioni concrete di denuncia e magari con sospensioni ed espulsioni la prossima volta che qualche politico manifesti sentimenti nostalgici. Ma dubitiamo che accada.

Fatto sta che non prendere una chiara e netta posizione davanti a fenomeni di questo tipo significa evidentemente appoggiarli, tollerarli, sostenerli. Ed è un pericolo enorme per una democrazia che nasce sulle spoglie di una dittatura fascista. Si possono ovviamente trovare tutte le giustificazioni del caso, ognuno è libero di farlo, ma in ogni caso resta una domanda a cui non c’è mai risposta: perché né Salvini né Meloni dicono chiaramente di essere assolutamente estranei a movimenti neo-fascisti e anzi che sono pronti a condannare tutto ciò che si muove in quell’orizzonte?

La “tacita” legittimazione, però, non nasce solo a destra. Ma anche a sinistra. E questo probabilmente è ancora più perverso e pericoloso. Un esempio su tutti: serve a poco che oggi il governatore della Puglia Michele Emiliano dica che Forza Nuova e CasaPound vadano sciolte. Suonano come parole vuote, banali e forse anche opportunistiche se si pensa che appena due mesi fa Emiliano sosteneva la rielezione di Pippi Mellone, sindaco di Nardò, e vicino proprio a CasaPound. Un caso isolato? Non proprio se si considerano i tanti eventi e convegni a cui esponenti di centrosinistra partecipano insieme ai “neo-fascisti”. Libertà di espressione? No. Cominciamo a chiamare le cose col proprio nome: legittimazione o, meglio, pericolosa normalizzazione.

E attenzione quando sentiamo dire, per giustificare silenzi, dichiarazioni, iniziative, episodi, che in realtà il fascismo è un problema che non esiste perché “è morto”. La verità, infatti, anche ammesso che lo sia, è che i fascisti sono vivissimi. E non possono più essere legittimati da silenzi di convenienza.