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Attacco di Hamas contro Israele: dietro e dentro il conflitto

Guerra

Il nastro di una guerra lunga più mezzo secolo si riavvolge attorno a colpe comuni e condivise: dalle cause all'origine del conflitto al confronto con la storia

L’11 settembre di Israele. Così alcune fonti israeliane hanno definito l’attacco dello scorso 7 ottobre da parte dell’organizzazione estremista palestinese Hamas allo stato ebraico. «Per i servizi segreti si è trattato della peggiore sconfitta dai tempi della guerra dello Yom Kippur del 1973», si apprende dai media. Gli esperti del conflitto israelo-palestinese hanno sottolineato come questo attacco fosse del tutto inatteso non solo per Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, ma anche per lo stesso governo di Tel Aviv. Inatteso, certo, ma non impensabile: la fragilità della situazione nella Striscia di Gaza si percepiva da tanto, troppo tempo.

Caccia al casus belli: come si è arrivati a questo punto?

L’attacco di Hamas contro Israele non ha precedenti recenti: né per grandezza, né per coordinamento né tantomeno per danni e morti causati. Per questo non è possibile prevedere lo sviluppo delle vicende in corso. Si può tuttavia provare a ricostruire i fatti. Dapprincipio, perché alla base dell’attacco del 7 ottobre non ci sono soltanto ragioni legate al tentativo di regolarizzazione dei rapporti tra Israele e gli altri Paesi (Arabia Saudita in primis): nel sostrato dell’azione di Hamas ci sono decenni di discriminazioni, di bombardamenti, di condizioni di vita – ossimorico usare la parola «vita» – ben al di sotto della soglia di povertà nella Striscia di Gaza, di maltrattamenti in Cisgiordania e molto altro. Condannare Hamas per il rapimento di decine di israeliani è giusto, oltre che necessario. Poi, però, la giustizia è uguale per tutti. E qui subentra la storia.

Gaza vittima e carnefice: le diplomazie internazionali si schierano con le due parti

Partiamo dal nodo del problema. Tra il fiume Giordano e il Mediterraneo non ci sono (più) due Stati, come si è ipotizzato ottimisticamente in passato con gli Accordi di Oslo sottoscritti dall’allora presidente dell’Autorità palestinese, Yasser Arafat, e dal primo ministro israeliano, Yitzhak Rabin. Ce n’è uno solo, con due popolazioni governate da leggi diverse e che fanno capo a tribunali diversi. Chi è in grado di pacificare una situazione del genere in preda a un conflitto di questa portata? Le reazioni dividono le diplomazie internazionali tra estremisti e moderati: se i primi (per lo più Paesi dell’Occidente) appoggiano incondizionatamente Israele, i secondi (tra cui Egitto e Russia) fanno appello alla calma e alla prudenza in una prospettiva di smorzamento. Dall’altra parte dell’Occidente ci sono poi gli altri estremisti, quelli che appoggiano Hamas: Iran e Hezbollah avanti a tutti.

Il conflitto israelo-palestinese letto in chiave storica

Perché cessino gli attacchi da parte di entrambi i popoli belligeranti, servirebbe – servirà – un impegno condiviso, una sorta di compromesso da raggiungere (anche) per sfinimento, di cui tuttavia al momento non c’è traccia all’orizzonte. Oltre a questo, resta fondamentale il sostegno delle diplomazie suddette, filoarabe e filoisraeliane insieme. Nella storia, a partire da quella più antica, la pace si è raggiunta sempre (e solo) per due strade: per accettazione dalle parti in causa o per la sconfitta di una delle due. Inutile dire che la seconda opzione è meno economica in termini di morte e sofferenza. In ogni caso, resta esclusa l’ipotesi di invocare la pace con schieramenti sbilanciati da una parte o dall’altra. Condannare Hamas per le violenze e le uccisioni dei civili israeliani senza riflettere sulla causa è un atto presuntuoso, oltre che superficiale. Historia magistra vitae, la storia insegna, attraverso gli errori compiuti in passato. Che non si possa cercare nella stessa storia di questa guerra la sua pace?