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L'ex agente della Digos sul caso Orlandi: "Lamenti di una ragazza torturata"

Emanuela Orlandi

I terribili ricordi di quella sera del 17 luglio 1983 di un ex agente della Digos sul caso di Emanuela Orlandi

Un orrore difficile da dimenticare, quello di un ex agente della Digos che sul sul caso di Emanuela Orlandi ha parlato di “lamenti di una ragazza torturata”. Antonio Asciore ha anche confermato che la registrazione avrebbe subito dei tagli e lui è uno dei poliziotti che ascoltarono l’audiocassetta inviata all’agenzia Ansa nel luglio del 1983. A Chi l’ha visto l’agente ha ricordato che allora lui 21enne era nella Digos. E la sera del 17 luglio prelevò l’audiocassetta nella sede dell’Ansa, poi l’ascoltò con i colleghi: “Si sentivano le urla di una ragazza torturata, ne siamo rimasti sconvolti: ciò che resta oggi dell’audio è soltanto una parte dell’originale“.

L’ex agente della Digos sul caso Orlandi

E ancora: “Mi hanno detto di andare alla sede dell’Ansa, ma non sapevo neanche di cosa si trattasse. Sono andato lì, mi hanno questo pacchettino e l’ho portato in ufficio: era un reperto che riguardava Emanuela Orlandi. Il funzionario ci disse di ascoltarlo ed è ciò che abbiamo fatto”. In un primo momento non si capiva cosa riproducesse il nastro: “Inizialmente non capiva bene cosa fosse, sembravano delle voci poco comprensibili. Poi si sono cominciati a sentire dei lamenti di una voce femminile”. E ancora: “Mi ricordo di aver distinto alcune voci, almeno tre: qualcuna con inflessioni dialettali, altre che non si capivano bene; alcune parlavano a monosillabi”.

“Lei diceva basta, non ce la faccio più”

“Lei diceva basta, non ce la faccio più. Si stava lamentando, le stavano facendo qualcosa. E una delle voci maschile ad un certo punto le gridava contro, rimproverandola. Le diceva di smetterla e di stare zitta, la impauriva“. C’è un frame straziante: “In molti passaggi, si lamentava come se la tortura aumentasse a poco a poco di intensità. Ci siamo chiesti cosa le stessero facendo. Quando sentivamo le frasi o i lamenti che più ci facevano impressione, anziché guardare l’apparecchio, ci guardavamo negli occhi l’uno con l’altro e facevamo dei gesti di meraviglia. Siamo rimasti tutti male, strani. Quella sera stavamo male, non so spiegare come, ma stavamo male”.