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Marco D'Amore: ecco cosa ne penso di Gomorra e sul futuro di Napoli

Marco D'Amore

Marco D’Amore ha rilasciato delle interviste durante l’Asti Film Festival, l'evento  che lo ha premiato come migliore attore per il film"Uomo in mare" per la sezione "Asti Short".   Il Direttore Artistico dell'evento è Riccardo Costa, che ha assistito alla premiazione a Marco D'Amore....

Marco D’Amore ha rilasciato delle interviste durante l’Asti Film Festival, l’evento che lo ha premiato come migliore attore per il film”Uomo in mare” per la sezione “Asti Short”.

Il Direttore Artistico dell’evento è Riccardo Costa, che ha assistito alla premiazione a Marco D’Amore. Marco, l’attore simbolo di Gomorra La Serie con l’interpretazione di Ciro di Marzio il personaggio della criminalità organizzata. Gomora L a Serie è stata definita dal dal New York Times la terza serie tv migliore del 2016 con valore internazionale.

Ma cosa cambia nel modo di vedere tra i quartieri di Napoli, Scampia, Ponticelli, Poggio Reale e Quello dei quartieri di Caserta dove è nato e cresciuto Marco D’Amore.

Cambiano profondamente. Quei grandi quartieri, nati all’inizio degli anni ’80, erano visti come un modo di rilanciare la periferia, e invece, a me, sono risultati essere degli esperimenti fallimentari perché sono diventati dei dormitori, lontani non solo per questioni geografiche, ma anche per questioni culturali, dai centri. Abbandonati. Quindi, è evidente che, per un personaggio come Ciro Di Marzio, quei luoghi fanno comodo, perché sono luoghi in cui un certo tipo di popolazione non s’addentra. Sono luoghi lasciati completamente all’abbandono dalle istituzioni. Sono luoghi dove si fa davvero fatica ad intraprendere un’attività culturale, che è nelle mani di pochi valorosi che si muovono in un ambiente difficilissimo. Invece, per quanto riguarda me, penso sia uno degli specchi della nostra realtà, in cui non si fa mai coincidere, alla necessità di vivere, la bellezza. Io penso che, in quei quartieri, non ci sia nulla di bello e quando si cresce in un luogo che non ti racconta la bellezza, neanche attraverso le strutture che ti circondano, è molto difficile. Puoi intuirla e cercare di capirla altrove e, forse, anche dentro te stesso.

Marco D’Amore che in merito alla precarietà, racconta:

Per me, il concetto di precarietà molto spesso non è declinato in negativo. Sarà perché io sono nato facendo un mestiere che, di per sé, è precario. Questo, in me, ha sempre acuito la curiosità e la necessità di mettermi al passo anche con le difficoltà. E’ evidente che, quando per precarietà si intende un luogo che non ha nulla di bello intorno a te, in cui non ci sono strutture adibite anche allo svago, che possono essere un parco, un luogo dove i bambini possono ricrearsi tranquillamente, allora quella è una precarietà che ha a che fare direttamente con la vita delle persone. E che, secondo me, influenza anche il carattere e le scelte della gente. Perché, ripeto, vivere in un luogo che non ha nessuno sbocco di bellezza ti imbruttisce ed è quella la cosa che fa più male: vedere quanto le persone si siano conformate al luogo che li circonda. E quindi, così come ci sono vetri rotti, palazzi disabitati, scale distrutte e pareti incendiate, allo stesso modo le persone che abitano quei luoghi si fanno “brutte”, si incattiviscono, quasi come se il luogo fosse un po’ lo specchio dell’anima della gente che lo abita.

“Gomorra – La serie” parla della militarizzazione di un territorio dove la camorra regna sovrana. Cosa ne pensa Marco D’Amore?

Innanzitutto, c’è da dire che la nostra serie parte da quel grande romanzo di indagine che è “Gomorra”, quindi c’è una supervisione di Roberto Saviano a tutto quello che viene scritto. I nostri sceneggiatori lavorano fianco a fianco con cariche dello Stato, con poliziotti, quindi si nutrono di racconti che, ahimè, fanno parte della storia del nostro Paese. E poi c’è, evidentemente, una grande relazione con la realtà nella quale noi andiamo a girare, che gode anche delle confidenze di persone che quella realtà la subiscono e che si trovano impossibilitate a combatterla. Però, secondo me, è molto interessante entrare in quei meccanismi e raccontare, anche attraverso le dinamiche più spicciole, quanto un’organizzazione criminale riesca addirittura ad impossessarsi di interi quartieri e decidere la vita quotidiana delle persone: quando si può entrare o uscire da casa, quando si può andare a fare la spesa, dove e se si può parcheggiare un’automobile. Perché, evidentemente, quelli sono luoghi che servono ad altro e non all’amministrazione della vita di tutti i giorni.