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Una crisi di governo è l'ultima cosa di cui ha bisogno l'Italia

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La prospettiva di una crisi di governo appare fuori dal mondo, anzi dalla Via Lattea. E non certo per il gradimento nei confronti del Conte 2, né per una sua difesa a spada tratta. Tutt'altro.

Lo chiamano il Papeete di Natale, in memoria della rottura estiva di Matteo Salvini decisa sulla spiaggia romagnola, ma assomiglia molto a un papocchio sotto l’albero. Per mandare di traverso il panettone al Conte 2. L’ennesima alchimia di Palazzo per riverniciare qualche poltrona o addirittura portare alle elezioni anticipate, visto che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dall’alto della sua saggezza, non pare intenzionato a soluzioni rabberciate. Non vuole altre responsabilità su ulteriori, e fantasiosi, esperimenti politici. Magari nel segno dell’improvvisazione.

Il tira-e-molla, fatto di minacce e ultimatum risulta sempre più incomprensibile agli occhi di cittadini flagellati dalla pandemia di Covid-19. Un mix micidiale di emergenza sanitaria e crisi economica. Una classe dirigente appena attenta alle necessità del Paese starebbe ben in guardia dalla tentazione del politicismo esasperato, quella tattica spinta oltre ogni umana sopportazione. Del resto, già in tempi di normalità il dibattito politico è derubricato a “teatrino”, con pochi spettatori interessati, eccezion fatta per gli addetti ai lavori. Tutto quel tuonare di dichiarazioni ha annoiato nella quotidianità, figurarsi quanto possa appassionare in uno stato di continua eccezionalità.

Così, la prospettiva di una crisi di governo appare fuori dal mondo, anzi dalla Via Lattea. E non certo per il gradimento nei confronti del Conte 2, né per una sua difesa a spada tratta. Tutt’altro. Qualsiasi governo, in una fase del genere, sarebbe chiamato alla sfida di andare avanti. Indipendentemente dal colore politico e comunque senza alcuna indulgenza nei suoi confronti: l’opinione pubblica, le opposizioni, le forze sociali devono incalzare l’attività. Con lo scopo di migliorarne l’azione, per il bene di tutti. Poi, passata la buriana della pandemia, verrà il momento di fare i conti, di valutare i benefici di una strategia politica e dei risultati conseguiti.

Il problema che stiamo vivendo è di una complessità sconosciuta. Ma, in questo caso, basta un ragionamento semplice: lo spettacolo delle consultazioni, delle conferenza stampa al Quirinale, e delle trattative per un’improbabile maggioranza, sarebbe intollerabile per gli italiani. Serve ascoltare, almeno ora, il sentimento delle persone, confrontarsi con le loro preoccupazioni. Che non corrispondono ai Papeete di Natale e ai papocchi prospettati dai retroscena.

Mentre i medici e gli infermieri cercano di salvare il maggior numero di vite possibili, e il tessuto produttivo è costretto a difendersi dalla crisi che ha forma di uno tsunami, lo show della politica deve trovare la giusta dimensione. Quella della serietà e della responsabilità. E che non significa il consociativismo del romanesco volemose bene. I numeri non richiedono enormi sforzi di interpretazione: i decessi causati dal Covid-19 sono 700-800 al giorno. E oltre queste statistiche ci sono persone, dietro questi tragici dati ci sono le date, di nascita e di morte di cittadini italiani.

Per quanto riguarda l’economia, poi, il Prodotto interno lordo rischia di arretrare del 10% rispetto allo scorso anno. Con tutta la buona volontà dei ristori, previsti a colpi di decreti, questa percentuale significa migliaia di attività chiusa e centinaia di migliaia di lavoratori trasformati in disoccupati. La loro ira nei confronti delle Istituzioni arriverebbe a soglie sconosciute dinanzi allo spettacolo di una crisi di governo, del puzzle per un rimpasto, o addirittura di un voto a ospedali pieni di contagiati. Solo la prefigurazione di tale scenario lascia sgomenti.

E non dobbiamo dimenticare che il debito pubblico si sta gonfiando, nella distrazione dell’emergenza. Un salasso che viene caricato, giorno dopo giorno, sulle spalle dei giovani, già curvata da una (non richiesta) eredità. Tuttavia, il danno pare già fatto. In piena discussione sulla Legge di Bilancio, quest’anno ancora più importante per evidenti motivi, è arrivato il rito della verifica, che forse precede un rimpasto o un patto di legislatura.

Qualcosa di incomprensibile, un lessico che riporta alla Prima Repubblica. Quando, però, di fronte alle emergenze nazionali, tipo il terrorismo politico, i partiti riuscivano ad assumere un comportamento responsabile. E non vuol dire rimpiangere i “bei tempi andati”, che così belli non erano. È la constatazione di fatti e anche una ragionevole strategia di placare l’esasperazione collettiva. Questa sì, più che comprensibile.