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In prima serata la tv trash nega ancora il diritto all'aborto

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L’aborto in Italia, nel 2021, non è un diritto assodato, ma una battaglia silente che quotidianamente viene portata avanti (spesso da uomini) sul corpo di noi donne.

L’aborto non si tocca. Per milioni di donne al mondo, ma non per Alfonso Signorini. Il conduttore ieri sera ha tuonato dallo studio televisivo di una trasmissione trash su Canale Cinque – Il Grande Fratello Vip, soap opera a basso costo con personaggi di contorno del tubo catodico che avanzano fra parolacce e tradimenti – il suo straordinario e del tutto gratuito punto di vista: “Noi siamo contro l’aborto in ogni sua forma”.

Non è una novità per il conduttore pronunciare frasi fuori luogo. Nella storia la sua certezza che “l’omosessualità sia una scelta” – detta l’anno scorso, e subito divenuta scontro intestino all’interno della comunità gay – o la candida ammissione di non amare “certi stereotipi, non ho voluto nel cast del GF gay con paillettes e lustrini, penso si possa raccontare il mondo omosessuale anche in modo più normale”. Ultima gaffe qualche settimana fa, quando ammise di condurre la trasmissione da cui ieri ha parlato con 38 di febbre (quando le restrizioni relative alla pandemia obbligano i lavoratori a restare a casa con la temperatura corporea alterata).

Per comprendere appieno Signorini – e forse anche trovare una contestualizzazione intima a questa non richiesta certezza relativa all’aborto – non si può trascendere dalla sua storia personale; prima dell’infatuazione per il gossip, Signorini infatti aveva frequentato l’Università Cattolica del Sacro Cuore per poi insegnare per anni presso l’Istituto Leone XIII di Milano, scuola cattolica privata che fa parte dei collegi dei Gesuiti. In questo lato ambivalente c’è il suo essere trasformista e camaleonte, che negli anni berlusconiani ha premiato la sua anima equilibrista e che oggi gli ha attirato critiche da chiunque abbia un minimo di senso civico e di rispetto – per le donne che hanno abortito, per i loro compagni, per chi sta attraversando un momento così difficile che prelude alla scelta. Alle risposte accese di grandi commentatori sono seguite, naturalmente, levate di scudi in sua difesa. Ultima quella di Giorgia Meloni: “Mi rammarica che questa aggressione, a suon di offese e insulti, provenga e sia fomentata dagli stessi che si ergono a paladini del rispetto e dei diritti”.

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L’esternazione di Signorini è senz’altro fuori luogo – e contestualizzandola diventa ancora più vigliacca e oscena, poiché si parlava di un aborto terapeutico da praticare a una cagnetta.

Non dobbiamo dimenticare che siamo cresciuti inzuppati nel politicamente corretto. Poi lo abbiamo rinnegato, sguazzando in tutto ciò che di esponenzialmente corrotto avremmo potuto dire. Dunque abbiamo lasciato il posto alla cancel culture, di cui ci stiamo riscoprendo bieche e paradossali vittime. E adesso?

Ora ci sentiamo tutti quanti autorizzati a parlare a sproposito, certi che domani qualcun altro la sparerà più grossa e tutto sarà messo nel dimenticatoio. Certi che basti ritrattare per annullare la polemica.

Dopo la presa di posizione di EndemolShine Italy, che produce lo show, in cui si distanziava dalle parole del conduttore, ribadendo che il “Grande Fratello si distingue da sempre per essere attento a tutte le evoluzioni della società e al rispetto dei diritti civili” (sigh!)

Signorini ha twittato: “Tra i diritti civili per i quali mi batto da sempre ci sono il rispetto e la difesa della libertà di pensiero. Un principio che difendiamo, anzi difendo, con assoluta fermezza. Indipendentemente dai gruppi di lavoro”.

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Polemiche di bassa lega che rivelano la fragilità dei diritti nel nostro Paese, e invece mostrano come per taluni basti erigersi a paladini della libertà per dire qualsiasi sciocchezza, infischiandosene degli altri. Tanto ci sarà sempre qualcuno che dirà, il giorno dopo se non il giorno stesso, un’altra baggianata. Sempre più grossa della precedente.

Eppure questo non è un processo ad Alfonso Signorini. Potrebbe essere una riflessione sulla macchina dei social, questo sì, e anche sull’imperdonabilità istantanea che si dedicano a certe figure dello showbiz (per poi dimenticare). Potrebbe forse anche essere l’ennesima gag dei pro-life, che utilizzano tutti i canali a loro disposizione per manipolare l’informazione e propagandare messaggi vergognosi e dannosi.

Dal mio punto di vista, però, non è l’espressione del tutto inadeguata e offensiva di un celebre conduttore televisivo il punto. Il punto è che dovremmo interrogarci sulla nostra soglia di accettazione, come donne e come uomini, e su quanto la questione aborto sia ancora uno snodo centrale della nostra società.

Non dare per scontato l’aborto come un diritto della donna a distanza da 43 anni dall’approvazione della legge 194 deve farci capire quanto arretrato sia il nostro Paese. Soprattutto alla luce dei continui attacchi che il diritto a scegliere di abortire riceve – in modo più o meno diretto – ogni giorno. Forse la verità è lampante, ma vogliamo fare finta di non vederla: l’aborto in Italia, nel 2021, non è un diritto assodato, ma una battaglia silente che quotidianamente viene portata avanti (spesso da uomini) sul corpo di noi donne.