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Tredicesime, niente taglio del cuneo fiscale: quest'anno non saranno più ricche

Il taglio del cuneo fiscale per il 2024 non avrà effetti sulle tredicesime

Il taglio del cuneo fiscale per il 2024 non avrà effetti sulle tredicesime. Lo prevede l'ultima bozza della legge di bilancio.

Il taglio del cuneo fiscale per il 2024 non avrà effetti sulle tredicesime. Lo prevede l’ultima bozza della legge di bilancio.

Tredicesime, niente taglio del cuneo fiscale: non saranno più ricche

Il taglio del cuneo fiscale per il 2024 non avrà effetti sulle tredicesime. Lo prevede l’ultima bozza della legge di bilancio, dove è stato spiegato, in merito all’esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti, che è riconosciuto “un esonero, senza effetti sul rateo di tredicesima, sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore di 6 punti percentuali a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 2.692 euro, al netto del rateo di tredicesima“. Il taglio del cuneo viene aumentato di un punto percentuale qualora la retribuzione mensile, per tredici mensilità, non superi 1.923 euro, al netto del rateo di tredicesima. “Tenuto conto dell’eccezionalità della misura resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche” si legge nel testo.

Tredicesime, niente taglio del cuneo fiscale: le buste paga in Italia

Intanto, come riportato da La Stampa, è uscito l’ultimo rapporto Cgia sulle buste paga in Italia. Nel 2021 la retribuzione media lorda annua dei dipendenti nel privato a Milano era di 31.202 euro, a Palermo di 16.349 euro, con una differenza del 90%. Se il confronto viene fatto con Vibo Valentia, il divario supera il 164%. La retribuzione media italiana, invece, ammontava a 21.868 euro. Lo ha rilevato la Cgia su dati Inps dove emergono gli squilibri tra Nord e Sud, ma anche tra zone urbane e rurali. Come ha segnalato anche il Cnel, il problema dei lavoratori poveri non parrebbe riconducibile ai minimi tabellari troppo bassi, ma al fatto che durante l’anno queste persone lavorano un numero di giornate molto contenuto. Pertanto, più che a istituire un minimo salariale per legge andrebbe contrastato l’abuso di alcuni contratti a tempo ridotto.

Entro il 15 giugno scorso al Ministero del Lavoro erano presenti 10.568 contratti attivi di secondo livello, di cui 9.532 di natura aziendale e 1.036 territoriali. Il 43 % era stato sottoscritto in strutture con meno di 50 addetti, il 41% in quelle con più di 100 e il 16% in quelle tra 50 e 99 lavoratori. Dei 10.568 contratti attivi, il 72% è stato fatto al Nord, il 18% al Centro e il 10% al Sud. Lombardia (3.218), Emilia R. (1.362) e Veneto (1.081) le regioni che hanno il numero più alto. In Italia sono coinvolti 3,3 milioni di dipendenti (20% circa del totale nazionale), di cui 2,1 da contratti aziendali e 1,1 da contratti territoriali. La Cgia ritiene che per appesantire le buste paga sarebbe necessario rispettare le scadenze entro le quali rinnovare i contratti di lavoro. Nel 2021, è Milano con gli stipendi più alti: 31.202 euro. Seguono Parma (25.912 euro), Bologna (25.797), Modena (25.722) e Reggio Emilia (25.566). I lavoratori dipendenti più “poveri”, invece, si trovavano a Nuoro con 13.338 euro, a Cosenza (13.141) e a Trapani (13.137), ultima Vibo Valentia con 11.823 euro.