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Giovanni Falcone, il ricordo a 27 anni dalla strage di Capaci

strage di Capaci

La storia di Giovanni Falcone: dall'infanzia all'ingresso in magistratura, dalle prime inchieste alla strage che pose fine alla sua vita.

Era il 23 maggio 1992 il giorno in cui Giovanni Falcone fu ucciso dalla mafia mentre si trovava con la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. A 27 anni dalla sua scomparsa, il magistrato siciliano viene ricordato come una delle personalità più importanti nella lotta alla mafia.

La biografia

Giovanni Falcone nacque il 18 maggio 1939 da genitori benestanti nel quartiere palermitano della Kalsa, lo stesso di Paolo Borsellino e di molti futuri mafiosi come Tommaso Buscetta. Il padre era direttore del laboratorio chimico di igiene e profilassi di Palermo, mentre la madre era figlia di un noto ginecologo siciliano. Aveva due sorelle, Anna e Maria. In seguito ai bombardamenti della Kalsa nel 1940, la famiglia Falcone fu costretta a trasferirsi nel borgo di Sferracavallo, per poi tornare nel quartiere dopo l’armistizio di Cassibile.

piccolo Giovanni Falcone

Il piccolo Giovanni frequentò le scuole elementari al Convitto Nazionale di Palermo, le medie al “Giovanni Verga” e le superiori al liceo classico “Umberto I”(dove si diplomò con il massimo dei voti). Frequentava l’Azione Cattolica e, tra un compito e l’altro, non perdeva l’occasione per una partita di calcio all’oratorio. Fu proprio durante una partita che conobbe Paolo Borsellino, che avrebbe incontrato di nuovo all’università e nella magistratura.

Negli anni dell’adolescenza ebbe modo di incontrare diversi futuri personaggi di spicco della malavita, tra i quali Tommaso Spadaro e Tommaso Buscetta.

In seguito al diploma, si iscrisse all’Accademia navale di Livorno, che abbandonò dopo soli quattro mesi per immatricolarsi all’Università degli Studi di Palermo.

Nel 1964, Falcone entrò nella magistratura italiana e sposò la prima moglie, Rita Bonnici. Nel 1965, a soli 26 anni, divenne pretore a Lentini. A partire dal 1966 fu poi, per dodici anni al tribunale di Trapani, nei primi anni come sostituto procuratore e giudice istruttore. In poco tempo, nacque in lui la passione per il diritto penale. Cominciò ad avvicinarsi agli ideali del comunismo sociale di Enrico Berlinguer, sebbene la sua famiglia fosse sempre stata sostenitrice della Democrazia cristiana. Proprio per questo motivo, si scontrò a lungo con la sorella Maria, giustificandosi con il fatto che, in quanto desideroso di combattere le disparità sociali vedeva nel comunismo la via per appianare le disuguaglianze ed eliminare le discriminazioni.

Dopo la separazione dalla moglie, nel 1978 Falcone cominciò a lavorare nella sezione fallimentare del tribunale di Palermo, per poi passare, nel 1979, all’Ufficio istruzione della sezione penale. Al suo fianco venne collocato Paolo Borsellino.

Falcone e la moglie Francesca

Nel 1980, il magistrato ricevette la sua prima inchiesta contro Rosario Spatola, un costruttore edile colpevole di reciclaggio di denaro derivante dal traffico di eroina dei clan mafiosi italo-americani guidati da Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e Carlo Gambino. Grazie a un assegno dell’importo di centomila dollari cambiato presso la Cassa di Risparmio di piazza Borsa di Palermo, Falcone provò che Michele Sindona si trovava in Sicilia, smascherando quindi il finto sequestro organizzato a suo favore dalla mafia siculo-americana alla vigilia del suo giudizio.Nei primi giorni del mese di dicembre 1980 Giovanni Falcone si recò per la prima volta a New York per discutere di mafia e stringere una collaborazione con Victor Rocco, investigatore del distretto est.

Il progetto del cosiddetto “pool antimafia” nacque dall’idea di Rocco Chinnici, che inizialmente si avvalse della collaborazione di Falcone, di Paolo Borsellino e di Giuseppe Di Lello. I quattro magistrati, affiatati, avevano un sogno comune: restituire la città ai palermitani e la Sicilia ai siciliani onesti. Il pool doveva occuparsi dei processi di mafia, esclusivamente e a tempo pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, sia al fine di garantire una visione il più ampia possibile di tutti gli elementi del fenomeno mafioso. Il sistema investigativo si dimostrò straordinariamente efficiente

La svolta avvenne con l’arresto di Tommaso Buscetta, che si prestò a collaborare con la giustizia, svelando i meccanismi di Cosa nostra. L’organizzazione cominciò eliminare i magistrati italiani “scomodi”, tra cui diversi collaboratori di Falcone e Borsellino. I due, insieme alle rispettive famiglie, furono costretti a soggiornare per un periodo nei pressi del carcere dell’Asinara. Le indagini condotte dai due magistrati portarono al primo grande processo contro la mafia in Italia, conosciuto come il “maxiprocesso di Palermo“, che iniziò il 10 febbraio 1986 e terminò il 16 dicembre 1987. La sentenza inflisse 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare.

Falcone e Borsellino

Il 21 giugno 1989, Falcone divenne obiettivo di un attentato comunemente detto attentato dell’Addaura. Alcuni mafiosi collocarono un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli della località di mare dove Falcone si trovava in vacanza, a pochi metri dalla villa affittata dal giudice, che stava per ospitare i colleghi Carla del Ponte e Claudio Lehmann. Il piano era probabilmente quello di uccidere il giudice, ma l’attentato fallì. Inizialmente venne ritenuto che gli assassini non fossero riusciti a far esplodere la bomba a causa di un detonatore difettoso, dandosi di conseguenza alla fuga e abbandonando il borsone.

Negli anni tra il 1988 e il 1991 Giovanni Falcone spendeva ogni sua energia e ogni momento della sua quotidianità nel lavoro investigativo sui cosiddetti “delitti politici” siciliani, sottoscrivendo infine la requisitoria con cui, il 9 marzo 1991, la Procura di Palermo chiese per quei delitti il rinvio a giudizio dei vertici di Cosa Nostra insieme a quello di esponenti dell’estrema destra quali Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini. Questi ultimi furono indicati come gli esecutori esecutori materiali dell’omicidio Mattarella.

Falcone venne assassinato in quella che comunemente è detta strage di Capaci, il 23 maggio 1992. Stava tornando da Roma. Appena sceso dall’aereo, si mise alla guida della sua Fiat Croma bianca con accanto la moglie Francesca Morvillo, mentre l’autista giudiziario Giuseppe Costanza andò a occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone che seguiva la macchina del giudice c’era alla guida Vito Schifani, con affianco l’agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Dicillo. Alle 17:58, venne azionato a distanza il telecomando che provocò l’impressionante esplosione di una vasta quantità di tritolo posta all’interno di un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada. La Croma bianca guidata dal giudice saltò in aria insieme a quella marrone della scorta. L’esplosione creò una voragine nell’asfalto e un boato che indusse gli abitanti della zona a contattare le autorità.