> > Felici per Silvia Romano, un po' meno per il ministro degli Esteri Di Maio

Felici per Silvia Romano, un po' meno per il ministro degli Esteri Di Maio

silvia romano

La generosità di una giovanissima ragazza va capita, apprezzata e sempre difesa. Ma è il caso di raccontare alcuni retroscena della liberazione di Silvia Romano.

Non viviamo nel paese dei balocchi, e anche il lieto fine della favole non può essere privo di lati oscuri. È triste vedere molti commenti perplessi sulla liberazione di Silvia Romano, che va accolta con gioia, anche perché libera un po’ noi tutti dal peso opprimente, nei media e nelle nostre teste, di Covid 19.

Altra cosa, ma per favore in un altro momento, sono i discorsi sul volontariato fai da te. Sarebbe costato di più, forse, preparare e pagare un’educatrice locale a seguire quei bambini kenjoti, ma avrebbe aggiunto una busta paga alla misera economia locale.

Possiamo però permetterci di dire che la generosità di una giovanissima ragazza va capita, apprezzata, e comunque difesa? Sì, i soldi del riscatto poi li paghiamo tutti. E quanto vale una vita? Quanto sarebbe stato bello poter pagare per Fabrizio Quattrocchi, per padre dall’Oglio, per Enzo Baldoni….

Lasciamo perdere gli odiatori di destra, speculari a quelli di sinistra (ricordate il ricovero di Boris Johnson, o quello di Bertolaso?), forse è il caso di raccontare alcuni retroscena della liberazione. Non l’ammontare del riscatto che si conosce, ormai, ma su cui è meschino fare i conti.

Ma il ruolo dei servizi di intelligence turca, cui dobbiamo essere grati. Badate bene: la Turchia di Erdogan, che lascia morire in carcere musicisti, che arresta giornalisti, combatte i curdi…. Non esattamente i lancieri bianchi della democrazia.

Nel 2017 la Turchia ho aperto a Mogadiscio la più grande base militare fuori dai suoi confini nazionali. Una presenza ingombrante, che ha provocato, lo scorso dicembre, un attacco terroristico, che aveva nel mirino degli “ingegneri” turchi, ma ha ucciso almeno un’ottantina di persona, in grande maggioranza studenti e un numero imprecisato di feriti. Curati da medici e infermieri turchi.

Ma cosa ci fa la Turchia in Somalia? Più o meno quello che ci fa in Libia. Scalzare la presenza altrui, ad esempio italiana, per affermare il proprio ruolo di potenza regionale, campione di un islamismo radicale – stile Fratelli musulmani – ma non estremo come quello degli Shebaab, i “ragazzi” di Al Qaeda. E ci sta, anche, per fare affari.

A gennaio è stato annunciato un accordo per garantire alla Turchia l’esplorazione di risorse energetiche, sula terraferma e in mare, e del resto il porto di Mogadiscio è gestito da una società turca. Qualcosa che ricorda le pretese turche su giacimenti off shore in cui operava l’Eni nel Mediterraneo?).

E l’Italia si fa sempre più in là. I più giovani non possono ricordare che fino al 1960, in quanto ex colonia, la Somalia è stata “amministrata” dall’Italia. E qualcuno ricorderà, almeno per aver visto Black Hawk Down che la Somalia è stata teatro di una infelice missione Onu, Restore Hope, nel corso della quale a un posto di blocco nella capitale – il check point PASTA – vennero uccisi tre soldati italiani.

Non è che non ci siano militari italiani o uomini dell’intelligence italiana, in Somalia, oggi. Sono loro ad aver chiesto ai turchi di liberare alcuni detenuti di Al Shebaab, quasi come uno scambio di prigioneri, che si è cumulato al riscatto. Felici per Silvia, un po’ meno per il ministro degli Esteri Di Maio.