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Prima condanna a morte in videochiamata a Singapore

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Prima condanna a morte in videochiamata a causa dell'emergenza da Coronavirus a Singapore per traffico di droga. Si tratta di un 37enne.

A causa dell’emergenza sanitaria da coronavirus, che da qualche mese ha messo in ginocchio molti paesi dell’Europa e del mondo, è stata eseguita a Singapore la prima condanna a morte in videochiamata per tutelare la salute e la sicurezza di tutte le parti coinvolte nel procedimento. Si tratta di un giovane 37enne, Punithan Genasa, il quale è stato chiamato a presenziare al processo in videoconferenza e condannato per traffico di eroina da un giudice locale.

Condanna a morte in videochiamata

L’emergenza coronavirus ha, dunque, portato anche a decidere la prima condanna a morte a distanza proprio a Singapore. Il processo si è infatti tenuto lo scorso 15 maggio in videoconferenza sull’app Zoom nel corso della quale Punithan Genasa, che aspettava la sentenza da tanto tempo, è stato condannato alla pena capitale per aver preso parte ben 9 anni fa ad un caso di traffico di droga. Nonostante il 37enne avesse negato qualunque suo coinvolgimento, la Corte ha respinto la sua difesa ritenendolo responsabile di aver coordinato nel 2011 due corrieri nel traffico di circa 28 grammi di eroina. Proprio attraverso una videoconferenza l’uomo è venuto a conoscenza del fatto che verrà presto impiccato.

Le parole di Robertson e della Sangiorgio

Il vicedirettore della divisione Asia di Human Rights Watch, Phil Robertson si è espresso in tal modo in merito al caso: “L’adozione di Singapore della pena di morte è intrinsecamente crudele e disumana e l’utilizzo di tecnologie remote, come Zoom, per condannare a morte un uomo lo è molto di più”. “Una condanna a morte è sempre crudele e inumana, sia via Zoom che in persona. Questo caso ci ricorda nuovamente che Singapore continua a sfidare la legge e gli standard internazionali imponendo la pena di morte per traffico di droga come punizione obbligatoria. Ciò deve finire adesso. È giunto il momento che il governo riveda il suo approccio draconiano e abolisca definitivamente la pena di morte” ha invece dichiarato Chiara Sangiorgio, portavoce di Amnesty International.