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Primo Levi: la vita, le opere e la vera causa della morte

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Primo Levi fu uno dei più grandi scritttori del secolo scorso costretto a vivere la tragica esperienza di Auschwitz.

Primo Levi è nato nel 1919 a Torino, da genitori intellettuali provenienti da agiate famiglie ebraiche. Studente di chimica in giovane età, si è laureato prima della prigionia nei lager, pur riscontrando difficoltà negli studi e nel mondo del lavoro alla loro conclusione, per via delle leggi razziali.

Primo Levi: la vita e la prigionia

Ha aderito al movimento clandestino della Resistenza diventando partigiano in territorio valdostano, ma venne catturato a Brusson e deportato prima nel campo di smistamento di Fossoli (in provincia di Modena), dal quale partivano i vagoni merci per i campi di sterminio della Polonia. Dalle testimonianze che ha lasciato emerge che Primo Levi sia sopravvissuto per una serie di eventi favorevoli, come aver trovato chi gli portava da mangiare di nascosto, la pregressa conoscenza del tedesco, le sue competenze di chimico, essersi ammalato episodicamente ed essere rimasto in infermeria al momento dell’evacuazione dei singoli blocchi, risparmiandosi sia la deportazione ferroviaria verso altri luoghi, sia la “marcia della morte“.

Si è sposato con Lucia Morpurgo al suo rientro in Italia ed ha avuto due figli, Lisa Lorenza e Renzo, ha lavorato come chimico in un’azienda di vernici nelle vicinanze di Torino e, contemporaneamente, si è dedicato alla sua attività di autore scrivendo diversi libri e memoriali, facendone un impiego a tempo pieno nel corso della sua vita, improntata al dovere civico di testimoniare l’esperienza di Auschwitz.

Comunicare è stata anche un’occasione d’introspezione psicologica, necessaria in conseguenza al suo vissuto nei lager di sterminio: in quei luoghi, Primo Levi si è reso conto di ritrovarsi con un problema imposto da altri, identificato nella sua diversità in quanto ebreo. Pur continuando a mostrare interesse per la cultura di provenienza, questa consapevolezza maturata nei campi di sterminio lo ha portato verso una radicale negazione della presenza di Dio, influenzando così il suo percorso.

Primo Levi: le opere

A parte un resoconto scritto a quattro mani con Leonardo de Benedetti su richiesta dei Russi, intitolato “Rapporto su Auschwitz“, la prima opera di Primo Levi è “Se questo è un uomo“, pubblicata prima da una piccola casa editrice locale e poi da Einaudi, nel quale si racconta l’esperienza della deportazione nel dettaglio: rappresenta una delle più importanti testimonianze di vissuto concentrazionario e vi troviamo le frasi più toccanti sulla sua esperienza ad Auschwitz.

Ma il secondo libro ha segnato l’inizio di un’attività a tempo pieno: “La tregua“, nel quale viene descritto il travagliato viaggio sulla via del ritorno, inizia dall’occupazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, quando i nazisti, sapendo di aver perso la guerra, scapparono dal campo. Primo Levi scrisse anche racconti di fantascienza come “Storie naturali“, “Vizio di forma” e “Il sistema periodico“, con riferimenti alle sue conoscenze di chimica.

La chiave a stella” è un romanzo incentrato sulle vicende del montatore Libertino Faussone, simbolo di tutti i tecnici che hanno contribuito a rendere onore all’Italia con la loro opera, mentre in “Se non ora, quando?” viene raccontato il viaggio di un gruppo di ebrei russi e polacchi, tra cui alcuni diretti nell’allora emergente stato d’Israele. Nell’ultimo libro, un compendio di saggi intitolato “I sommersi e i salvati”, l’autore spiega le ragioni per cui alcuni sarebbero sopravvissuti alla Shoah ed altri no. Primo Levi è stato anche autore di poesie, sia pubblicate da lui in raccolte come “Osterie di Brema” e “Ad ora incerta”, sia in selezioni postume. Filo conduttore dei suoi scritti è uno stile chiaro e scorrevole nella lettura, in cui ogni termine viene soppesato, mai usato con leggerezza e facendo trasparire una certa fiducia di fondo nella capacità di discernimento umana.

La morte di Primo Levi

Il mistero della morte di Primo Levi non è stato mai risolto: trovato morto immediatamente dopo essere scivolato giù dalla tromba delle scale, non si è mai saputo se l’evento fosse stato accidentale o intenzionale. Chi propende per un suicidio mette in evidenza le conseguenze psicologiche dell’esperienza della Shoah ed il fatto che in quel periodo le condizioni di salute della madre dello scrittore non fossero buone; altri, invece, affermano che, avendo ancora dei progetti editoriali per il futuro, la caduta sia stata una sfortunata fatalità. Probabilmente, le intenzioni dello scrittore rimarranno per sempre ignote ai posteri.