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La "normalità" della sindrome di Down sbarca al cinema

La normalità della sindrome di Down sbarca al cinema

"Up and Down, un film normale": la pellicola prodotta e diretta da Paolo Ruffini mostra un volto inedito della disabilità.

La normalità è un’illusione. Un’invenzione per chi è privo di fantasia”, scriveva Alda Merini. Sulla normalità si è interrogato anche Paolo Ruffini, dietro le quinte dello spettacolo Up & Down, da cui è nato un film. “Un film normale“, assicurano gli attori, tra lo stupore del pubblico. Perché a recitare sono uomini e donne disabili: cinque affetti da sindrome di Down e un autistico. Tutto ha avuto origine a Livorno, dove il regista Lamberto Giannini dirige la Mayor Von Frinzius. La compagnia porta in scena spettacoli non convenzionali da vent’anni. Dai pochi partecipanti degli inizi, il cerchio si è allargato fino ai 97 attori di oggi: la metà di loro è disabile. “All’inizio ero sul palco insieme a loro”, spiega Giannini, “ma poi ho capito di essere una presenza troppo forte. Così ho fatto un passo indietro”, lasciando che i ragazzi diventassero i veri protagonisti della scena.

Up & Down, un film normale

L’idea del film è nata dallo stupore di Federico Parlante, uno degli attori. Quando Ruffini ha iniziato a girare con una telecamera in mano durante le prove in teatro. lui gli ha domandato il motivo: “Perché ci riprendi? Noi siamo persone normali“. Il risultato è un docu-film, emozionante ma ironico, su diversità e disabilità.

La pellicola racconta la storia di sei attori: Andrea, Davide, Erika, Giacomo, Simone e Federico. Lo spettatore è invitato a entrare nelle loro vite, sul palco così come lontano dai riflettori. Si parte con Andrea, uno dei veterani della compagnia, che calca le scene da vent’anni. Ma per lui il tempo si è fermato a quando di anni ne aveva 27 e tutto ciò che gli succede, che sia recitare o avere una relazione, accade solo da un giorno. “Quando aspettavo Andrea, una mia amica ha avuto un figlio senza mani”, racconta la madre. “Ho pregato di poter avere un bambino felice. Ho avuto Andrea. È davvero felice“. Lo era anche quando ha partecipato alle paraolimpiadi come nuotatore, senza paura né vergogna, neppure quando a metà vasca perse il costume. Normalità, allora, è anche tuffarsi a riprenderlo e terminare la gara completamente nudo. Normalità è la determinazione e la caparbietà con cui Erika si è presentata davanti a Giannini, presentandogli un book professionale e chiedendogli di ammetterla alla compagnia come qualsiasi altra attrice. Normalità è parlare di se stessi al plurale, come fa Davide, perché il singolare non basta a racchiudere tutte le sfaccettature della sua personalità.

La normalità nell’imperfezione

Normali sono anche i difetti di ognuno di loro, che il film non fa nulla per nascondere. Imperfezioni che non dipendono dalla disabilità ma in cui chiunque può, in qualche misura, riconoscersi. Come la costante preoccupazione di Federico per il denaro, che farebbe di tutto per risparmiare e che considera i 25 euro spesi per un anello di fidanzamento come un patrimonio. O come la frase “io non sbaglio mai” che Erika, la primadonna della compagnia, ripete con convinzione davanti a chi, dai genitori ai registi, prova a correggerla.

È difficile orientarsi nel complicato universo delle relazioni. Lo sa, ancora una volta, Federico, abbandonato da Erika perché “troppo vecchio” e che ora deve accettare di vederla tra le braccia di un altro (attore, anche lui). Lo sa anche Davide, il ragazzo autistico che si vanta delle sue maniere di gentiluomo, convinto che prima o poi troverà “una fidanzata da amare, con cui fare passeggiate”. Difficile è stato anche convincere Simone a lasciare la casa dov’è cresciuto e dove viveva con la madre, dopo che lei è venuta a mancare. “Quando è arrivato in casa famiglia, urlava e graffiava gli altri, come un animale in gabbia”, spiega Ruffini. “Ora è felice, la considera casa sua”. Ma il dolore della perdita non si può cancellare e torna, prepotente, proprio nello spettacolo, dove a Simone viene chiesto di urlare a squarciagola ciò che più gli fa paura.

Una visione spietata della disabilità

La forza di Up & Down risiede nella capacità di stupire il pubblico, di colpirlo trattando la diversità senza pietismo, in maniera irriverente e “spietata“, suggerisce Giannini. “A volte questi ragazzi non fanno le cose perché nessuno gliel’ha mai chiesto. Io pretendo molto da loro, a volte anche troppo”. Giannini li rimprovera, chiede che siano attenti e che scandiscano le parole, che sfidino continuamente i propri limiti. In definitiva, che non si adagino nella convinzione che la diversità li autorizzi a vivere in una bolla. Giannini abbandona ogni pretesa di politically correct e dice senza mezzi termini: “I disabili sono diversi da noi e la loro forza è proprio l’anomalia. I Down, per esempio, sono gli attori ideali perché non sanno mentire. Non indossano quelle maschere che caratterizzano tutti noi e di cui non possiamo liberarci, che ci portiamo in scena”.

A lasciare senza parole è anche l’atteggiamento che gli stessi attori hanno nei confronti della disabilità. “Io non sono Down, sono guarito“, ripete Giacomo. Federico osserva le mani di chi gli sta davanti e le confronta con le sue, per cercare una traccia di diversità anche negli altri. “Lui a volte si definisce Down, a volte normale: dipende da ciò che gli fa più comodo”, spiega il regista. Andrea, invece, è fiero della sua anomalia. E c’è anche chi non ha paura di definirsi “un disabile s******” e manda in frantumi lo stereotipo del ragazzo meno fortunato ma sempre sorridente e ottimista. Anche questa è normalità.

Il teatro contro il pietismo

“Grazie a questo progetto, ho rivalutato la mia idea di normalità”, spiega Ruffini. “Ho capito che forse siamo noi a non essere normali a stare sempre con il telefono in mano. Non è normale che la parola reality sia così simile a realtà ma che non abbia niente a che fare con essa, e sociale così simile a social”.

“In teatro, non esiste il poverino“, continua Ruffini. “Solo il teatro salva dal pietismo, perché ogni piede che calca il palco deve essere ugualmente disciplinato. Se il regista dice che le prove iniziano alle tre del pomeriggio, tutti devono presentarsi alla stessa ora. Disabili o meno. Se ho difficoltà a deambulare, non avrò nessun trattamento di favore: so che devo partire prima”. È per questo che non vuole presentare Up & Down solo in sale d’essai, dove sarebbe più facile trovare un pubblico interessato e dalla giusta sensibilità. “Questo per me è un film commerciale, così come lo spettacolo teatrale è uno dei più pop che esistano. Voglio che Up & Down vada in scena negli stessi teatri dei grandi musical e che la pellicola venga proiettata nelle stesse sale di Venom. Non è un’opera di beneficenza quella che stiamo facendo: è un film normale”.