> > Né con l’orso né con l’eutanasia, non ci servono partigiani

Né con l’orso né con l’eutanasia, non ci servono partigiani

Un esemplare di orso marsicano

In Trentino se l’uomo arretrasse rispetto all’orso l’uomo sarebbe in Veneto.

In Canada può accadere che un uomo si alzi la mattina prestissimo, corra in garage ad accendere il suv e, mentre la moglie bofonchia e gli spadella una decina di pancake pieni di sciroppo d’acero, lui corra alla rastrelliera. Può accadere che quel medesimo uomo poi si infagotti come Jack London e se ne vada nei boschi con un Weatherby 30-378 Magnum. A sparare all’orso. E all’alce. E a tutto ciò che tecnicamente non abbia una giacca arancio e non dica “tavernac” ogni sei minuti netti.

Qual è il punto? Non certo che l’uomo sia un cacciatore, quello per come la vede chi scrive non è soggetto a dibattito e non ci sono letture che tengano: l’uomo macella animali per piacere ed è sbagliato e barbaro. No, il punto è che fra i pancake dell’uomo e la fucilata all’orso ci passano sei ore, galassie di asfalto e una nottata in tenda. Come negli Usa e come non accadrà mai in Italia dove invece per fortuna all’orso non gli si spara. Insomma, mettiamola giù senza parabole: i talebani che in questi giorni si stanno scortecciando le dita a scrivere “io sto con l’orso” per i fatti tragici del Trentino e che invocano una chiave da lettura “wild” per cui lasciare la terra alla specie che la possiede è la scelta etica suprema hanno torto. In Trentino se l’uomo arretrasse rispetto all’orso l’uomo sarebbe in Veneto.

Il Trentino non è certo il Canada

Hanno torto perché il Trentino non è il Canada e la scelta “politica” di tenere separate le due specie da millemila miglia facendo i green senza macchia (ma poi sparando alla seconda) qui è inapplicabile. Noi però siamo cresciuti a pane e Diane Fossey ma solo sul versante Hollywood e, memori degli insegnamenti di Sigourney Weawer, abbiamo deciso di fare quello che ogni italiano media fa sempre quando una tragedia diventa mainstream: abbiamo polarizzato. E lo abbiamo fatto al punto da dividerci fra quelli che “no, proprio non ci doveva andare il runner a correre a casa dell’orsa e mollate la presa su di lei anche in barba a quanto deciderà il Tar l’11 maggio” e quelli che “no, l’orsa JJ4 va sparata, anzi, portata ad eutanasia perché è un’assassina”.

Il vecchio vizio di dividersi in fazioni

Come sempre, incapaci di logos, l’abbiamo buttata in dualismo e melodramma con milioni di card social in cui un plantigrado parla e dice cose molto simili a quelle degli indiani d’America. In quella scomoda terra di mezzo che non offre verità assolute ma che forse segue l’usta delle possibili soluzioni per il futuro non ci vuole abitare nessuno. Perché quella non consente l’identitarismo di parte. Se non stiamo con una schiera non esistiamo, perciò si fottano i runner o si fotta l’orso, purché qualcuno si fotta e noi si esista. Proviamo a capire: al centro della tragedia in cui è morto Andrea Papi e sta molto probabilmente per morire JJ4 – che Papi lo ha ucciso – ci sono due fattori chiave: uno etologico ed uno amministrativo.

L’orso è un animale capace in date circostanze di una violenza bruciante, che cioè non dà adito ad episodi su cui commentare esiti soft. Perciò la possibilità di un incontro con un esemplare femmina con cuccioli o con un maschio a cui non si sia dato preallarme facendo più rumore del Carnevale di Rio è concretamente legata al decesso fisico dell’umano. Quindi la Provincia autonoma di Trento entra in ballo nella questione. Ma non con il progetto Ursus che sarebbe scappato di mano in quanto a numeri all’ente, quella è un’altra panzana. Perché?

Cosa ha detto l’esperto Zibordi

Ecco un’altra perla sciapa che vaga su social e media: si è superata la misura dei 50 esemplari originariamente previsti da importare via Slovenia ed è successo il casino. No, cento volte no, perché quello era il numero minimo, non massimo, per ripopolare l’areale. Chi lo dice? Uno che magari sul tema qualche skill in più ce l’ha. Filippo Zibordi è un ricercatore che ha collaborato anche con il parco Adamello Brenta e sul’Adige l’ha detta chiara: “Il progetto non aveva come obiettivo massimo i 50 esemplari. Cinquanta orsi era considerata la popolazione minima vitale per garantire la prosecuzione della specie sul medio periodo. Era esattamente il contrario. Certo, su quale superficie doveva insistere questa popolazione di orsi, è un altro discorso. Il Trentino doveva essere la core area, da cui sarebbe dovuta partire l’espansione che sta effettivamente procedendo, ma più a rilento del previsto”.

Che significa? Che molti orsi, specie femmine che poi figliano e prendono d’aceto facile, in Trentino si sono trovati benone e non si sono irraggiati verso la Lombardia, aumentando le possibilità di interazione e contatto con l’uomo. Questo perché, ricordiamolo sempre, il Trentino non è Yellowstone dove sull’animale puoi farci un fumetto pacioso ed è grande non come il Canada, ma come Montreal. Ma allora cosa si poteva fare per evitare che oggi una famiglia piangesse un figlio che non cacciava ma che semplicemente voleva correre nel verde?

Zibordi una chiave di lettura ce l’ha: “Fin dall’inizio del progetto, c’erano cose che andavano gestite. Tra queste, i casi problematici. Gli esemplari pericolosi o dannosi andavano tolti, e andava fatta comunicazione e prevenzione alla cittadinanza per minimizzare i rischi, oltre che ricerca scientifica”. Capito adesso perché Maurizio Fugatti è così forcaiolo con JJ4? Perché quelle come lei non andavano solo condannate ex post dall’ente che oggi lui rappresenta, ma inertizzate da prima con una condotta rigorosa e costante. Leggiamo Zibordi: “Negli ultimi 10 anni si sono tirati i remi in barca, non si è avuto il coraggio di eliminare a vita libera – abbattimento o cattività dal punto di vista ecologico non cambia – gli esemplari pericolosi o dannosi, e dall’altra si sono diminuite le risorse a favore della gestione dell’orso, della ricerca, della dissuasione verso esemplari troppo confidenti, della comunicazione verso la popolazione. Tutto questo ha creato il cortocircuito di oggi”.

Insomma, se c’è una chiave di volta della faccenda, quella come sempre sta nelle sfumature in arco temporale lungo e non nei colori fluo sull’attimo agghiacciante in cui il problema sfocia in funerale con annesso dibattito becero. Perché è morto un uomo, magari non andrebbe dimenticato. E sta per morire un’orsa salvata ma solo a metà ed in sospensiva dal Tar, che non va parimenti dimenticato ma magari su un piano un filino meno egualitario.

La corsa sui social a schierarsi

Il guaio grosso è però che con le questioni di logos e ponderazione non non ci andiamo proprio d’accordo. Perciò corriamo sui social. E scriviamo che stiamo con l’orso, o con l’albero o con le scarpe del runner o con chiunque diventi catalizzatore contro l’anonimato che ci spetterebbe. Non perché dobbiamo capire, ma perché dobbiamo esistere. Perché anche noi siamo cacciatori, cacciatori di un diritto di parola che non ha più la sua precondizione: la facoltà di intelletto.