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Ricercatori indonesiani: "Il coronavirus è mutato, 10 volte più contagioso"

Migliorano piano piano le condizioni del 17enne ricoverato nel reparto di terapia intensiva del Policlinico di Milano per Covid

Secondo un team di scienziati indonesiani, il coronavirus sarebbe mutato e sarebbe 10 volte più aggressivo del virus comparso a Wuhan.

Il timore che un cambiamento del materiale genetico del SARS-CoV-2 possa renderlo ancora più pericoloso per l’uomo e complichi ulteriormente la strada verso il vaccino è sempre vivo tra gli scienziati che sono al lavoro per combattere la malattia. A studi che sostengono la mutazione in negativo del virus ne fanno seguito subito altri che, al contrario, ipotizzano una sua minore aggressività. Il più recente campanello d’allarme arriva dall’Indonesia, dove alcuni ricercatori avrebbero individuato un cambiamento nel genoma del coronavirus che, così mutato, sarebbe 1o volte più contagioso.

Il coronavirus è mutato e più contagioso?

La scoperta arriva dai laboratori dell’Istituto Eijkman per la biologia molecolare, in Indonesia, ed è stata riportata dal The Jakart Post. I ricercatori avrebbero scoperto una nuova versione del SARS-CoV-2 che, grazie a una mutazione denominata D614G (riscontrata in 8 sequenze su 22 del genoma), sarebbe più pericoloso del virus originario comparso a Wuhan. Al momento sono ancora molte le incognite, a partire da quante persone siano portatori di questa mutazione. Secondo un ricercatore intervistato dal The Jakart Post, circa il 40% dei positivi in Indonesia rientrerebbe in questa categoria. Occorre però ricordare che, al momento, la maggiore contagiosità di questa versione mutata del coronavirus è stata verificata solo in laboratorio. Mancano le prove che confermino o smentiscano il medesimo comportamento anche nell’organismo umano.

Il precedente

Quello dell’Istituto Eijkman non è il primo studio a ipotizzare l’esistenza di una variante più contagiosa del virus. Lo ha preceduto lo studio del Laboratorio Nazionale di Los Alamos, in collaborazione con il Centro di Ricerca Biomedica dell’Università di Sheffield, con l’Istituto sui Vaccini dell’Università Duke e con l’Istituto di Immunologia di La Jolla, pubblicato nel mese di luglio sull’autorevole rivista scientifica Cell. I risultati della ricerca dimostrerebbero che il coronavirus ha subito delle variazioni rispetto alla sua versione originaria, principalmente per quanto riguarda la proteina Spike. La conseguenza sarebbe una carica virale maggiore nei positivi.

Tesi opposte

C’è però anche chi sostiene l’esatto contrario. Secondo un team di scienziati guidato da Massimo Ciccozzi (policlinico universitario Campus Bio-Medico di Roma), il coronavirus starebbe effettivamente subendo una mutazione genetica, ma in meglio, perché starebbe perdendo proteine fondamentali che ne regolano la capacità di replicarsi e di attaccare l’organismo umano.