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Valentina Massa: "Parlare con un no vax è come parlare con un terrapiattista, vaccinerò subito i miei figli"

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Tra i premiati all'Ambrogino d'Oro 2021 c'è anche Valentina Massa, una delle ricercatrici che ha sviluppato il tampone salivare: la sua intervista a Notizie.it.

Il 7 dicembre, come da tradizione, a Milano viene consegnato l’Ambrogino d’Oro, uno dei più importanti riconoscimenti non solo meneghini ma dell’Italia intera. Tra i premiati di quest’anno c’è anche Valentina Massa, per le importanti scoperte scientifiche che insieme al suo team ha fatto nel contrasto al Covid. Valentina Massa è infatti l’artefice del test molecolare salivare e si racconta a Mirror, la rubrica di Notizie.it.

Valentina, informandomi su come siete arrivati a questa scoperta ho notato che il team che l’ha resa possibile è formato da mamme che volevano rendere meno difficoltoso il test anticovid per i propri figli.

Grazie per aver citato il mio team, proprio perché vorrei dire questa cosa: io sono molto onorata di aver ricevuto questo premio ma vado in rappresentanza di un gruppo di lavoro, perché la ricerca è fatta da tante persone, soprattutto mamme, ma voglio ricordare anche il professor Zuccotti, il pediatra che ha coordinato lo studio e ci ha permesso di portarlo avanti. Come mamme la scorsa estate, dopo la prima ondata della pandemia, ci siamo molto interrogate su come fare per riuscire a tenere le scuole aperte, con due obiettivi: contrastare la diffusione del Covid ma anche garantire ai bambini una vita che fosse il più normale possibile. In più, oltre ai bambini, pensavamo anche alle persone fragili che sono sempre state oggetto delle nostre ricerche anche pre-pandemia. Per questo quando l’Università di Yale ha pubblicato uno studio in cui si dimostrava che la saliva poteva essere una buona matrice per cercare il virus abbiamo iniziato a lavorare alacremente per realizzare questa idea. Per una volta devo dire che la parte di ricerca scientifica è stata molto più facile del previsto, è stata veloce, ha funzionato bene. Poi invece c’è stata tutta la parte burocratica, più lunga e difficile, ma finalmente a settembre di quest’anno il nostro lavoro è stato riconosciuto.

La caratteristica di questo test è che, pur mantenendo inalterata la validità, risulta essere meno invasivo per chi vi si sottopone. Cosa vuol dire questo nello screening della popolazione?

Oltre a non essere invasivo, ha anche un’altra caratteristica che non vale solo per questo virus ma anche per altri virus molto infettivi. C’è una prima fase di replicazione nella saliva e poi il virus va nei tessuti “che gli piacciono”, in questo caso naso, faringe e altri tessuti respiratori. Quindi non solo questo test è meno invasivo ma in saliva si trova prima di quanto si trovi nel naso-faringe, fino a due giorni prima. Quindi quando si parla di quando fare gli screening nei soggetti asintomatici o nei bambini, che raramente sviluppano sintomi, chiaramente poter usare un sistema che anticipa il riconoscimento dell’infezione è molto utile. Inoltre, come tutti i genitori sanno, con un bambino piccolo o con un ragazzo fragile si riesce a fare facilmente il primo test, poi diventa molto difficile. Un test naso-faringeo fatto male (cioè che non arriva là dove deve arrivare, nella faringe appunto) non serve a niente, è come non farlo. Quindi, poter invece usare un test meno invasivo e che può essere fatto da personale non specializzato (genitori o caregivers) permette una maggiore aderenza, una maggiore facilità di sottoporre i più piccoli al test. Molti genitori ora sono preoccupati quando i bambini hanno una temperatura di 37.5: ricordiamoci che i bambini piccoli vengono soprannominati “mocciosi” per un motivo. In questo periodo dell’anno dovrebbero sottoporsi a un tampone in continuazione e capite bene che questo è molto difficile.

Come la vostra ricerca dimostra, ma anche su altri fronti – penso per esempio al fronte del vaccino – abbiamo riscoperto l’importanza della ricerca. Secondo te resterà qualcosa dopo l’esperienza del Covid? Avremo un diverso approccio anche in termini economici – diciamoci le cose come stanno – nei confronti della ricerca?

Mi piace dire due cose su questo tema. Siamo stati moto veloci su più fronti perché c’è stata una grande condivisione nel mondo scientifico, una cosiddetta “scienza aperta” a livelli molto alti” e questo spero che rimanga, perché è quello a cui abbiamo sempre aspirato e come abbiamo visto permette di accelerare i risultati. Per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca, diciamo che sono una persona ottimista. Devo dire che ero un po’ dispiaciuta quando c’è stata una forte pressione da parte del mondo scientifico per finanziare il piano Amaldi, un piano che prevede un grosso investimento sulla ricerca di base perché è stato dimostrato che la ricerca di base genera anche ritorno economico nella società ma a lungo termine e questo è difficile da far capire ai non addetti al settore. Noi in Italia abbiamo delle eccellenze nella ricerca di base incredibili, ma davvero pochi finanziamenti. Spero quindi che tutti questi premi che stiamo ricevendo dalla società – non solo il mio ma molti altri – in qualche modo riaccendano i riflettori sulla necessità di investire sulla ricerca.

Parlavi di condivisione. Se quindi da un lato il mondo scientifico è apparso piuttosto litigioso soprattutto in televisione e nei dibattiti sulla situazione pandemica, dall’altro lato in realtà c’è stata una collaborazione più reale e concreta di quanto appaia. Pensi che mediatamente la scienza abbia fatto una brutta figura nei contesti di divulgazione?

Credo che, purtroppo, dall’inizio della pandemia il rapporto tra scienza e il pubblico generale sia stato terribile, gestito molto male. Non ovunque, per esempio in Nuova Zelanda dove la comunicazione è stata molto alta c’è stata un’unica voce istituzionale che parlava. Questo da noi, in Italia, è mancato completamente. I litigi tra scienziati mi hanno colpito meno rispetto a quanto abbiano colpito il pubblico “normale” perché nella scienza è normale discutere, confrontarsi. In fondo la scienza è questo: si avanza un’ipotesi, si portano dei dati a supporto e se ne discute. Serve avere una discussione costante. Sicuramente, però, i toni sono stati sbagliati perché sono stati spettacolarizzati. Il Covid mi ha lasciato due grandi insegnamenti. Il primo è che se c’è un problema scientifico, clinico, epidemiologico che deve essere affrontato dal governo, le istituzioni devono nominare una persona che parli, una voce unica. Dall’altro lato la pandemia ha evidenziato uno dei problemi dell’Italia, quello della scarsa cultura scientifica. Il fatto che sui giornali venga pubblicato un pre print, cioè una cosa che non.è stata neanche ancora pubblicata, dandogli lo stesso peso di uno studio pubblicato su Nature mi fa pensare che ci sia una scarsa educazione alla scienza e al metodo scientifico, ma anche alla stessa discussione.

Quanto questa litigiosità tra scienziati ha inciso sulla fiducia del pubblico nei confronti della scienza?

Tantissimo, tutta questa litigiosità è stata terribile. Sono mesi che parlo con persone che non sono no vax ma che sono confuse e che non hanno tutti i torti a esserlo. Anche per quanto riguarda la questione della campagna vaccinale che, dopo un inizio un po’ traballante è stata fantastica, la comunicazione è stata molto scarsa, molto litigiosa. Io capisco le persone confuse, perché non è loro compito conoscere i dati. Dai giornali sembra che gli scienziati siano divisi a metà, ma non è così: c’è una piccola parte che a volte non sono d’accordo, ma la stragrande maggioranza di noi è allineata sugli stessi temi. Anche quando l’anno scorso si diceva “la pandemia è finita”… a dirlo erano in pochi, la gran parte degli scienziati non lo pensava.

Da donna di scienza, da donna che ha impernato gran parte del suo tempo a contrastare il Covid, come vivi gli atteggiamenti no vax?

Come persona di scienza dico che è molto frustrante, da un lato, e dall’altro mi fa paura. Ripeto, non sto parlando di chi è confuso e di chi ha dei dubbi assolutamente legittimi, vista la scarsa comunicazione. Parlo di chi pensa che ci sia un complotto mondiale di segreti, di sotterfugi. È come parlare con un terrapiattista: come facciamo a convincerli che la Terra è tonda? Lo trovo molto frustrante perché se ci vaccinassimo tutti usciremmo molto velocemente da tutto questo e torneremmo a una semi normalità. Con questo virus dovremo convivere e ci sono tante cose che ancora non sappiamo, ma con questi vaccini – che funzionano benissimo, sono sorprendentemente efficaci – è assurdo vedere così tante persone che ancora non vogliono vaccinarsi avanzando motivazioni illogiche e inconfutabili perché è impossibile convincerli del contrario. Quando dicono che il vaccino è un siero che ti cambia i geni, chiunque abbia studiato biologia sa che questo non è possibile. Se i miei studenti del primo anno mi dicono una cosa del genere – che l’Rna può entrare nel nucleo e modificarlo – li boccio!

Abbiamo detto che con i vaccini usciremmo da questa situazione. Secondo te cosa dobbiamo aspettarci dalla condizione attuale?

Ormai sappiamo che questo virus si sta comportando sempre nello stesso modo: ha un picco, cerca di diffondersi, e poi scende. Tra i due picchi c’è una fase che sembra di latenza, come l’estate dell’anno scorso. I nostri comportamenti fanno sì che i picchi si innalzino di più o di meno e che durino per più o meno tempo. In questa, che è la quarta ondata, la pressione sugli ospedali – che è sempre stato il vero problema – è bassa. Stiamo andando bene, soprattutto dove abbiamo vaccinato di più, e stiamo andando meglio di Paesi come la Germania dove hanno vaccinato meno. Quindi è innegabile che il vaccino sia l’arma contro la pandemia. Mi aspetto che quando avremo capito quante dosi bastano (ai complottisti ricordo che ci sono vaccini per cui servono 5 richiami perché siano permanenti) il numero dei vaccinati aumenti ulteriormente, spero che andremo a vaccinare anche nel resto del mondo, altrimenti è lì che si svilupperanno varianti che potrebbero crearci dei problemi – il famoso terrore della “variante che buca il vaccino” che spaventa tutti ma che per ora non si è ancora avverato. Finché abbiamo dei vaccini che funzionano così bene, quello che possiamo fare è vaccinarci, continuare ad avere comportamenti virtuosi soprattutto quando il virus cerca di ripartire.

La vostra ricerca è rivolta soprattutto a rendere meno invasivo il test per i bambini. Da donna di scienza e da madre, cosa pensi invece del vaccino ai più piccoli (in particolare della fascia 5-11 anni) e come, eventualmente, vuoi rassicurare chi ci legge?

È difficile dire a un genitore cosa deve fare. Da mamma io capisco la perplessità, perché è molto più facile prendere un rischio (anche solo percepito) per sé stessi che per i propri figli. L’unica cosa che posso dire è che voglio far vaccinare subito i miei tre figli che sono tutti nella fascia 5-11. Addirittura li avevo iscritti a un trial che si doveva fare in Italia proprio per vaccinarli. Credo che i vaccini siano una grande conquista della medicina e della scienza in generale, e sono molto sicuri. Certo, c’è qualche caso di reazione avversa, ma questo vale per qualunque farmaco. Dai dati che arrivano dagli Stati Uniti, dove hanno già iniziato a vaccinare la fascia 5-11, sembra che gli eventi avversi siano ancora meno rispetto alla fascia 12-18. Non potrò mai dire a un genitore “devi per forza vaccinare tuo figlio”, quello che posso dire è che vaccinerò i miei figli il prima possibile.

Il 7 di dicembre ritiri, per conto del tuo team, l’Ambrogino d’Oro, uno dei riconoscimenti più importanti di Milano ma dell’Italia intera. Raccontaci qualcosa del team che andrai a rappresentare.

Per prima cosa voglio ringraziare chi mi ha candidato e chi ha deciso di darmi questo premio perché per me è stato davvero un onore. Io poi sono milanese… è difficile spiegare ai non milanesi quanto teniamo all’Ambrogino d’Oro. Questo progetto è stato reso possibile solo grazie a Elisa Borghi, un’amica e collega, mamma e professoressa di biologia. Ad agosto quando abbiamo avuto questa idea lei mi ha subito detto: “Proviamoci”. Da lì sono state coinvolte molte altre persone che lavorano nell’università, anche colleghi che di solito si occupano d’altro e che per questo progetto hanno messo il cuore oltre la ragione. Hanno lavorato su cose che normalmente non fanno e nessuno si è mai tirato indietro, quindi devo dire che è stato un esempio davvero virtuoso di come si può ottenere tanto quando si crede di quello che si fa. La fatica e i momenti di sconforto sono stati tanti, ma non ci siamo mai arresi, quindi non posso che essere molto contenta e orgogliosa.