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Casa degli orrori a Salerno: bimbo segregato al buio per tre anni

bimbo Salerno

Nel 2011 i Carabinieri scoprono un bimbo di 3 anni segregato in una stanza lager, denutrito e non in grado di comunicare. La storia ha un lieto fine.

La storia per fortuna ha un lieto fine ma anche se sono passati alcuni anni la vicenda che ha purtroppo per protagonista un bimbo lacera ancora il cuore. Nel 2011 i Carabinieri fanno irruzione nella casa di una nota e agiata famiglia dell’Agro nocerino, in provincia di Salerno, e scoprono che un bambino di tre anni è costretto a vivere in una stanza buia praticamente da quando è nato.

Segregato e picchiato

La triste storia è emersa solo ora, 15 marzo 2019, perché la Corte di Cassazione ha messo l’ultima parola sulla vicenda giudiziaria che ne è seguita, decretando l’adottabilità del bambino che ormai ha 11 anni e vive con una nuova famiglia. Quando soccorso dai Carabinieri, il piccolo era infatti denutrito, non sapeva né camminare né parlare ed aveva difficoltà a masticare e deglutire.

Come riporta ilmattino.it, in base agli accertamenti successivi gli inquirenti hanno appurato che il bimbo veniva infatti tenuto quotidianamente chiuso in una stanza buia all’interno della culla oppure legato al passeggino, e nutrito solo con omogenizzati e biscotti per lattanti. Inoltre, il piccolo veniva spesso picchiato, soprattutto per farlo smettere di piangere. Nella camera da letto gli investigatori avevano poi trovato decine di confezioni di psicofarmaci.

L’irruzione dei carabinieri

Stando a quanto emerge, il bambino era figlio di una coppia benestante, ma all’interno della famiglia c’erano gravi problemi di alcol e droga. Oltre ai genitori, nell’appartamento vivevano anche i nonni paterni del bimbo. L’allarme è scattato solo quando alcuni vicini si sono spaventati per delle urla provenire dalla casa.

Il primo febbraio 2011 i Carabinieri fanno quindi irruzione e trovano la nuora intenta ad aggredire la suocera. Perquisendo l’appartamento, scoprono così la stanza lager del bambino.

Il piccolo è stato quindi prima affidato ad una comunità, al cui interno è iniziato un percorso di recupero, e poi ad una coppia senza figli. I genitori affidatari hanno chiesto di adottare il bambino, che a quanto pare si è completamente ripreso, ma il 57enne padre biologico si era opposto. Il lungo iter processuale è quindi finito in Cassazione, con i giudici che hanno sentenziato in base alla maggior tutela e benessere del minore.