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Ergastolo a Matteo Messina Denaro per le stragi mafiose del 1992

Matteo Mesina Denaro

Ergastolo a Messina denaro per le stragi del 1992 dopo la precedente condanna per quelle del 1993. Secondo il Pm il boss fu parte attiva.

Ergastolo a Matteo Messina Denaro per le stragi mafiose del 1992. Lo ha inflitto la Corte di Assise di Caltanissetta a quello che ormai è definito l’ultimo boss di Cosa Nostra I giudici siciliani hanno accettato il teorema dell’accusa per cui il boss trapanese latitante da 27 anni è fra i mandanti non solo degli attentati del 1993, ma anche delle stragi dell’anno prima che portarono alla morte dei giudici Falcone e Borsellino. La richiesta di condanna è stata avanzata dal requirente d’aula Gabriele Paci ed accolta dal collegio giudicante presieduto da Roberta Serio. L’udienza finale contro il super latitante si è svolta nel surreale clima delle regole imposte da Covid 19 e a tarda ora.

Ergastolo a Messina Denaro per le stragi

Messina Denaro era già stato riconosciuto colpevole delle stragi del 1993: quelle di Firenze, Roma e Milano che costarono la vita complessivamente a 10 persone. Tuttavia l’impianto accusatorio per cui il boss potesse avere precise responsabilità associativa anche nelle stragi che portarono alla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di Francesca Morvillo e delle due scorte dei magistrati non aveva mai trovato polpa procedurale. Quell’impianto trovava ragion d’essere nel teorema per cui il boss fosse perfettamente organico alla strategia stragista decisa dai corelonesi di Totò Riina per intimidire lo Stato e spuntare accordi vantaggiosi per la mafia dei ‘viddani’..

L’anello di congiunzione fra Riina e Provenzano

E sempre secondo quell’accusa ora diventata tesi riconosciuta in primo grado il latitante di Castelvetrano era l’anello di congiunzione fra le due anime di quella strategia: Totò Riina con le stragi del ‘92 e Bernardo ‘Binnu’ Provenzano per quelle del ‘93. Di quella diarchia Mesina Denaro, all’epoca giovane esecutor, fu il ciambellano più fidato. Da allora il giovane capomafia aveva iniziato una latitanza che dura da 27 anni e che ha portato le forze dell’ordine a metterlo in tacca di mira più volte, soprattutto stringendo il cappio intorno a fiancheggiatori e curatori dell’ immenso patrimonio riconducibile ai suoi interessi. Il processo era iniziato nel 2017 con le deposizioni in aula di decine di ex mafiosi, oggi collaboratori di giustizia.

La descrizione del Pm: “Un mafioso fedele alla causa”

La requisitoria finale del Pm dà molto bene il senso di ciò che a Mesina Denaro si contestava in punto di diritto. E cioè la condotta attiva di un fedelissimo pronto a mettere a tacere ogni dissidenza interna ed a sacrificare ogni aspetto della sua vita per la causa nefasta a cui era votato. “La decisione di uccidere i due giudici non fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza. Questo dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato. E che consentì alla follia criminale del capo di Cosa Nostra di continuare nel proprio intento: anzi, più che di consenso parlerei di totale dedizione alla causa corleonese”