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Il decreto Cura Italia umilia le partite Iva: con l'elemosina non sopravvivono al Coronavirus

coronavirus partite iva

Ai 4 milioni di partite Iva i decreti coronavirus riservano un'elemosina che suona come una barzelletta che non fa ridere, mentre il governo naviga a vista.

Un decreto vergognoso il “Cura Italia”, addirittura umiliante per le partite Iva: un popolo di lavoratori sempre più numeroso, viste le difficoltà di ottenere un contratto stabile nell’attuale mercato del lavoro, e destinato a crescere ancora quando terminerà l’allarme contagio, con le aziende che dovranno fare i conti con quanto è rimasto in cassa prima di tornare ad assumere. Nella prima “bozza” gli era stato assegnato un bonus di 500 euro “una tantum”: un unico versamento con cui avrebbero dovuto tirare avanti per tutta la durata dell’emergenza sanitaria. Che, appare a chiaro ormai, è a tempo indeterminato. La “quarantena” della ragione: un obolo che suona come una barzelletta, ma non fa ridere.

Coronavirus, alle partite Iva solo elemosina

Parliamo di oltre 4 milioni di professionisti che lavorano in ogni campo, in settori decisivi anche per il futuro rilancio del nostro Paese, come il turismo e il commercio. Quindi, a seguito della rivolta, è “salito” a 600. La presa in giro: che differenza fanno 100 euro in più? In pratica la metà della soglia di povertà fissata dall’Istat; il 50% di tanti redditi di cittadinanza in circolazione; meno di chi può contare sulla cassa integrazione, ritrovando auspicabilmente il suo posto a fine emergenza; una pensione sociale, di quelle che si erogano a chi non ha mai lavorato o non ha mai versato un solo contributo.

Altra ondata di indignazione a questo punto, per solidarietà, anche da parte di chi la partita Iva non ce l’ha mai avuta. Poi a notte fonda, come ormai di rito, il terzo intervento del ministro dell’Economia Gualtieri, che si è deciso a rendere i 600 euro mensili e non più una tantum. Confermando così di fatto che l’isolamento andrà avanti ancora a lungo, ben oltre il 3 aprile e probabilmente fino all’estate. C’è veramente da chiedersi che cognizione abbia, chi ci governa, del mondo fuori dai Palazzi e del costo della vita, se sa quanto costa una spesa al supermercato per una settimana o i farmaci e i presidi sanitari di cui siamo costretti a riempire le case. È questa la maniera di ripagare chi ha rinunciato a lavorare, chiudendosi tra quattro mura per il bene della collettività?

Il governo naviga a vista

E non è finita qui, la beffa resta. Perché l’elemosina non vale neanche per ogni categoria ed esclude al momento la miriade di partite Iva iscritte a casse previdenziali autonome: geometri, ragionieri, avvocati, agenti di commercio, giornalisti, architetti. Una colonna portante del nostro Pil, che include perfino tanti medici, infermieri e farmacisti che continuano a lavorare in questi giorni rischiando la vita. E allora, come per quello sul Coronavirus, aspettiamoci a breve il “ri-decreto”, o il “decreto del decreto”: l’ennesima nuova versione rimodulata sulla scia delle proteste, con cui rimediare in corsa alla sconsideratezza dei provvedimenti presi.

L’impressione netta è che si navighi a vista, sulla base dell’umore del Paese, procedendo col metodo “trials and errors”, per prove ed errori: si ordina una misura, si vede come reagisce la gente e, in caso di sollevazione popolare, ci si mette subito una toppa. Una politica rabberciata, fatta di bozze e controbozze, annunci e smentite. Possibile non si riesca a promulgare un unico, vero, serio, decreto che viva per più di mezza giornata, senza rammendarlo di continuo, non appena i cittadini da casa, via social, facciano aprire gli occhi sulle falle che contiene? Si chiedono sacrifici, ma si è disposti a farne fare qualcuno importante anche alle casse dello Stato? Si rendono conto cosa accadrà quando a maggio, forse a giungo, una massa di indigenti e disoccupati si riverserà per le strade letteralmente affamato?

Le conseguenze di una politica miope

Con 600 euro si rischia di favorire il lavoro nero e di spingere chi è alla canna del gas a uscire, per andare a guadagnarsi un tozzo di pane, violando le restrizioni perché a casa lo aspettano delle bocche da sfamare. È questo il modo di venire incontro alle esigenze delle famiglie, di premiare il rispetto che la stragrande maggioranza dei cittadini sta mostrando verso l’osservanza delle drastiche misure a cui siamo sottoposti da settimane? Se non ci tenessero per prime le partite Iva, alla salute, in tante sarebbero tentate di aprire quella dannata porta per andare a urlare la loro rabbia davanti Palazzo Chigi. Come pagheranno mutui, leasing e bollette (che continuano ad arrivare) quando sarà tolto il “blocco”?

Le partite Iva rappresentano una miniera di risorse produttive strategiche per la ripresa, per rialzare la testa dopo, ma che è sempre stata bistrattata, anche prima del Coronavirus. A mali estremi, estremi rimedi per tutti: o gli si consente non solo di sopravvivere ma di reagire all’emergenza, aumentando gli importi erogati e cancellando del tutto le imposte solo prorogate, o sarà davvero la fine per tutti. Ci salveremo dal Coronavirus ma non e dalla recessione e dalla povertà che, a quel punto, dilagherà diventando endemica e impedendo di rilanciare i consumi. Ci ritroveremo in una situazione da terzo mondo, con i nostri beni deprezzati e svalutati, che arricchirà solo gli affari della criminalità organizzata.

Cosa ci insegna la pandemia

C’era bisogno di un dramma epocale per rendersi conto della totale assenza di diritti di milioni di lavoratori italiani. “Economisti” alla Fornero ci hanno raccontato che la precarietà era un modo di vivere molto allegro, moderno, “smart”; e ora tocchiamo con mano la disperazione della gente, dominata dall’incertezza nei confronti del futuro, senza garanzie sulla prosecuzione del loro lavoro e sulla retribuzione che percepiranno nei prossimi mesi. Tanti suonatori di flauto ci hanno raccontato in questi anni che il settore pubblico era un “bubbone”, che la sanità in particolare andava privatizzata, “ottimizzata”, trasformando le cliniche in “aziende ospedaliere”.

Stiamo vedendo adesso con i nostri occhi quanto ciò che è pubblico invece ci tuteli, e quali siano le vere priorità da rimettere al centro dell’agenda: la salute e il lavoro. Soprattutto quello delle partite Iva.