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Kata, la bimba scomparsa: "Quella notte erano in 15 con mazze e spranghe"

Hotel Astor

Si aggiunge una nuova voce attorno alla scomparsa di Kata: si tratta del quarantenne ecuadoriano precipitato dal terzo piano dell'Astor la sera dello scorso 28 maggio. La sua testimonianza sull'hotel

Tensioni, violenze, minacce. Si aggiunge una nuova voce attorno alla scomparsa della bimba di cinque anni a Firenze. A parlare ai microfoni di Repubblica è Manuel M. P., il quarantenne ecuadoriano precipitato dal terzo piano dell’hotel Astor la sera dello scorso 28 maggio. Ecco un estratto dell’intervista.

D. Quando è arrivato all’Astor?

«Il 2 marzo. Prima stavo in una stanza da un’altra parte».

D. Perché si è buttato da dieci metri di altezza la sera del 28 maggio?

«Mi volevano ammazzare. Ero nella stanza al terzo piano con la mia fidanzata e sono arrivati per sfondare la porta».

D. Quanti erano?

«Circa quindici. Avevano mazze da baseball, bastoni, spranghe di ferro. Io e la mia fidanzata ci siamo messi contro la porta, cercando di non farla crollare».

D. Chi erano?

«Peruviani che stavano al primo piano del palazzo, cioè sotto i romeni. C’è chi dice ci fossero anche degli ecuadoregni ma non è vero. L’unico ero io. Devono indagarli, ho descritto chi mi ha colpito ai carabinieri. La frattura al braccio (ha il braccio ingessato, ndr) me l’hanno fatta con una mazza. Mi hanno colpito anche alla testa».

D. Perché l’hanno aggredita?

«Non lo so. Quella sera hanno provato a sfondare anche le altre due porte al mio piano, con dentro le famiglie. Ci volevano buttare fuori tutti».

D. Ma prima di quella sera c’erano stati scontri, discussioni tra lei e qualcuno di loro?

«No, io me ne sono stato sempre tranquillo nella mia stanza. Non ho mai avuto problemi con nessuno. È successo tutto all’improvviso. Se mi avessero minacciato nei giorni precedenti avrei chiamato la polizia».

D. E non ha avuto paura per la sua fidanzata, che sarebbe rimasta da sola con quelle persone?

«Cercavano me. Le ho parlato subito prima che fossero dentro e le ho detto che se mi prendevano mi avrebbero ucciso».

D. Se volevano la casa perché poi non l’hanno presa?

«Io sono finito su una macchina e sono svenuto. Sono rimasto tre giorni al Cto di Careggi, dove devo tornare per un intervento al volto. Quando sono rientrato all’hotel la situazione si era tranquillizzata».

D. Conosce la famiglia di Kata?

«Il padre no perché era in galera. Non so nulla. La madre la conoscevo di vista perché stava all’Astor, al primo piano, ma non siamo amici. Non ci ho mai parlato».

D. Quali erano le figure più forti dell’Astor occupato?

«Al primo piano comandava un peruviano. Al secondo un romeno e una romena. Al terzo nessuno».

D. Cosa pensa sia successo alla bambina?

«Non lo so».

D. Descrive un clima molto pesante, di intimidazioni e aggressioni per avere le stanze. Quello che è successo a lei potrebbe essere in qualche modo legato al rapimento?

«No, assolutamente. Io sono un bravo ragazzo. Non so niente di quella bambina. Però devono indagare su quelli che mi hanno aggredito, su dove lavorano e dove prendono i soldi».

D. Adesso ha paura?

«Sì, temo che vengano a cercarmi anche qui. Perché ho detto chi sono».