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Il problema delle scuole è che non sono state rese sicure, non se devono stare aperte o chiuse

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Le scuole avrebbero bisogno di essere più sicure. Ma trasformare tutto in un raffreddore e in un lamento contro i lavoratori sfaccendati è molto più semplice.

Se non ci fosse in giro questa pugnace normalizzazione di situazioni che sono tutt’altro che normali oggi avremmo le agenzie di stampa e i social dei principali leader politici che soffierebbero contro il ministro all’Istruzione Bianchi e contro il Governo. Ma la vera variante non sta nel ceppo del virus, la nuova variante che investe l’Italia è la raffredorizzazione in tutte le sue forme, il non pronunciare l’emergenza illudendosi che così non esista, negare le criticità per fingere di risolverle.

Negli ultimi giorni è accaduto che un ministro e l’Associazione Nazionale Presidi abbiano dato numeri completamente diversi sulla situazione delle scuole con un balletto ben poco edificante. Il ministro, con la solita sicumera di chi affida alla narrazione la costruzione della realtà, ci tiene a dirci che «il 93,4% delle classi sono in presenza. Di questi il 13,1% con attività integrata per singoli studenti a distanza. Le classi totalmente a distanza sono il 6,6%». Se trasformassimo le percentuali in persone significa che circa un milione di studenti (e relative famiglie) costretti a seguire le lezioni da casa. Ovviamente a questo si aggiunge il solito trucco che ostinatamente ci viene propinato dall’inizio della pandemia, «i ragazzi non si contagiano a scuola», continuano a ripetere ossessivamente.

La postura fa il pari con le persone che «non si ammalano al lavoro» o con tutte le colpe dei runner, della movida e delle feste in famiglia: il Covid deve essere un virus intelligentemente capitalista se riesce, secondo la descrizione del Governo, a punire con mirabile precisione solo le persone che si concedono uno svago. A questo punto stupisce che non abbia ancora deciso di accanirsi solo contro i percettori del reddito di cittadinanza.

L’Associazione dei presidi, da canto suo, fa il suo mestiere e raccoglie le testimonianze sul territorio. E di testimonianze sono pieni i giornali (quelli non allineati alla strategia tranquillizzante che sfiora il negazionismo) e le esperienze personali. La pandemia burocratica è evidente: le aziende sanitarie sono sovraccariche e non riescono a garantire il tampone in tempo, le certificazioni non arrivano per i genitori che devono chiedere permessi di lavoro, le interpretazioni spesso variano da istituto a istituto. Il risultato è che c’è chi si fa 14 giorni di quarantena e chi ne fa zero. Anche l’attivazione della Dad (quella che il ministro Bianchi afferma felice di avere evitato) ci mette un paio di giorni per essere operativa.

A molti pare anche sfuggire che a sostituire l’assenza delle aziende sanitarie è il personale scolastico: sono docenti, dirigenti scolastici, i loro collaboratori e collaboratrici (che sono docenti) che si fanno carico di un tracciamento che è completamente saltato a livello nazionale. Sono gli stessi che devono pure sorbirsi l’accusa di essere sfaticati nullafacenti. Funziona sempre così, quando il sistema salta per assolversi ha bisogno di trovare dei capri espiatori e i dipendenti pubblici, si sa, funzionano sempre benissimo.

La mancanza di senso l’ha riassunta perfettamente la giornalista Annalisa Cuzzocrea che in un tweet dice: «Un ragazzo, dopo un contatto con un positivo, col green pass valido può fare tutto dopo 5 giorni con tampone negativo. A scuola, se ha fatto la seconda dose da più di 4 mesi, di giorni (in dad) deve passarne 10. Rinsavite per favore?».

E a proposito dell’intendimento del Governo di agire “solo su base scientifica” (l’avevano promesso fin dall’insediamento) Galli chiarisce che la «scuola è fonte di contagio enorme. Piaccia o non piaccia. Il virus se ne infischia delle vostre posizioni ideologiche». Del resto l’OMS ripete dall’inizio della pandemia che restare per ore in un luogo chiuso senza impianti di ventilazione e senza purificazione dell’aria è la condizione perfetta per contagiarsi.

Qui arriva il punto sostanziale. La discussione tra chi vorrebbe le scuole aperte e chi le vorrebbe chiuse è un falso problema dato in pasto ai media per alimentare divisioni. Le scuole per essere più sicure avevano bisogno di impianti di ventilazione meccanizzati, di sistemi di purificazione dell’aria, di più trasporti (e migliori), di una rigorosa strategia di tracciamento (a proposito, che fine ha fatto Figliuolo sulle scuole?), di una veloce e facile burocrazia per stare al passo di una pandemia veloce con i suoi veloci contagi e le sue veloci guarigioni. Questo è il vero problema di cui pochi sembrano voler parlare per assumersi la responsabilità dell’inerzia che ancora avvolge la scuola nell’incertezza.

Ma trasformare tutto in un raffreddore e in un lamento contro i lavoratori sfaccendati è molto più semplice. Quanto sia eticamente accettabile ognuno lo può decidere da solo.