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Diamo i voti ai politici: le pagelle del 2020

Pagelle 2020 politici italiani

Come accade canonicamente quando un anno si chiude e un altro comincia, è il momento di dare i voti ai nostri politici per capire chi - al di là di colore e preferenze politiche - è riuscito a primeggiare in quest’anno di cui, probabilmente, ricorderemo soltanto le macerie.

Il 2020 sta (finalmente) volgendo al termine e tutti vivono la speranza che il 2021 riservi gradite sorprese o, quantomeno, un progressivo ritorno alla normalità. Un pensiero, questo, che accomuna non solo tutti noi, ma anche la classe politica, sfiancata da mesi di emergenza che non hanno risparmiato schermaglie tra maggioranza e opposizioni, e sgambetti anche all’interno della stessa forza politica o tra alleati.

Nel corso di questi mesi, dopotutto, abbiamo vissuto sullo sfondo di una tragica pandemia querelle politiche che, forse, ci saremmo volentieri risparmiati: il Movimento 5 Stelle è finito in un tunnel da cui ancora non riesce ad uscire, poiché ancora oggi è di fatto privo della tanto agognata leadership collegiale; Matteo Salvini sempre più leader del centrodestra ma con un Carroccio spesso spaccato sulle posizioni interne anche per via di un Giancarlo Giorgetti in forte crescita; Matteo Renzi che in questi ultimi mesi ha giocato (e sta giocando tuttora) al continuo rilancio nella speranza ci siano i numeri (che oggi mancano) per una nuova maggioranza ed un nuovo esecutivo, magari con Mario Draghi.

A questo punto, come accade canonicamente quando un anno si chiude ed un altro comincia, è arrivato il momento di dare i voti ai nostri politici, capire chi – al di là di colore e preferenze politiche – è riuscito a primeggiare in quest’anno di cui, probabilmente, ricorderemo soltanto le macerie.

GIUSEPPE CONTE: 7+

Non possiamo che cominciare dal Presidente del Consiglio. Una promozione per Giuseppi. Conte ha gestito l’emergenza nella sua prima fase (e forse più drammatica) con vigore e, al di là delle misure prese, ci ha messo sempre la faccia. Anche nei momenti più bui, anche dinanzi all’obbligo di mandare l’intero Paese in lockdown. Le sue scelte, di fatto, si sono dimostrate giuste considerando che poi anche gli altri Paesi europei hanno seguito l’esempio italiano. Avrebbe meritato probabilmente anche un 8, se non fosse arrivato la seconda ondata: l’invenzione delle zone gialle, arancioni e rosse – diciamolo – è stata una trovata per non chiudere formalmente l’Italia in nuovo lockdown, anche a costo di mandare un po’ tutti in stato confusionale. Resta però lo spessore di un uomo venuto dal nulla e diventato pedina inamovibile anche in vista di future alleanze tra Pd e Movimento 5 Stelle.

LUIGI DI MAIO: 6,5

Probabilmente (e forse mai nessuno l’avrebbe immaginato) è riuscito meglio nei panni di Ministro degli Esteri che di leader del Movimento 5 Stelle. Nel primo caso ha saputo ritagliarsi – anche se tra alti e bassi – un ruolo a tratti autorevole; nel secondo caso, invece, è stata una totale Caporetto con i pentastellati finiti in un vortice senza guida (vedremo più avanti con la bocciatura di Vito Crimi), in balìa in alcuni casi di guizzi estemporanei. Da titolare della Farnesina è innegabile invece la combo di insperati successi quali Chico Forti e i pescatori di Mazara del Vallo. Sono, di fatto, assolutamente bislacche le critiche di Matteo Salvini e Giorgia Meloni riguardo i ritardi nella liberazione dei siciliani dalla Libia. È indubbio, d’altronde, che anche la comunicazione di Di Maio abbia subito un repentino cambio di marcia: basta attacchi inutili (da manicomio la richiesta del 2018 di impeachment indirizzata a Mattarella) e avanti con uno stile moderato, certamente più consono al ruolo che oggi Di Maio ricopre.

MATTEO RENZI: 4

È inutile. Matteo Renzi proprio non ce la fa a restare al suo posto. Sarà per il desiderio di far del bene al Paese, sarà per sue mire personali, certo è che ancora una volta Renzi sceglie il periodo meno adatto per mettere a rischio la tenuta del Governo. Ed è proprio questo dettaglio che straccia il velo di Maya dell’apparenza e svela la reale motivazione che ha spinto Renzi e i fedelissimi renziani a parlare addirittura di sfiducia. E la reale motivazione è proprio che non c’è nessun desiderio di far cadere il governo, a meno che non ci sia una nuova maggioranza. Magari con Forza Italia, Pd e pezzi spaiati di Lega e Cinque stelle. Il tutto per sostituire Conte con Mario Draghi. Follia? Forse. Ricostruzioni giornalistiche? Chissà. Certo è che – su questo siamo pronti a poggiare la mano sul fuoco – nessuno farà cadere il governo col rischio di tornare alle urne anticipate. Specie se da un punto di vista elettorale si viaggia sul 3% (lontani dalla soglia per entrare in Parlamento).

VITO CRIMI: 1

Sia chiaro: il voto non dipende tanto dalla persona in sé, quanto da ciò che Vito Crimi è diventato. Suo malgrado. Al di là del suo ruolo istituzionale (forse ci si dimentica che è sempre viceministro al Viminale), Crimi è capo politico del Movimento 5 Stelle. Un capo politico, però, non riconosciuto praticamente più da nessuno. Nei corridoi parlamentari tutti i pentastellati, nessuno escluso, attendono che venga nominato il nuovo collegio che guiderà il Movimento. A quel punto Crimi verrà sostituito. E nel frattempo? Le scelte e le direttive, dicono i ben informati, sono tornate in mano a Luigi Di Maio, nuovo (e vecchio) leader in pectore. Crimi rappresenta di fatto una meteora. E dispiace. Anche perché si è ritrovato a non-gestire un Movimento senza guida, senza capo né coda. E, diciamolo, lui ha contribuito a lasciarlo esattamente nel caos in cui l’aveva ereditato.

MATTEO SALVINI: 3

Nel 2019 – lo ricorderemo tutti – era a un passo dal diventare presidente del Consiglio. E ora? Ora il nulla. Dilaniato all’interno da un partito che guarda sempre con maggiore fascino a Luca Zaia da una parte e a Giancarlo Giorgetti dall’altra, a Matteo Salvini restano solo i migranti di cui parlare. Salvo poi collezionare patetiche figuracce come quella di Napoli, dove avrebbe scambiato per clochard una donna solo perché extracomunitaria. Per il resto ci sono i processi che lo attendono. I tempi in cui era per certo il futuro leader di tutto il centrodestra sono ormai tramontati. Nonostante le percentuali gli diano ancora pienamente ragione, alla sua destra è letteralmente mangiato dalla crescita di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, amica e alleata all’apparenza, ma pronta a prendere il posto del caro Matteo.

GIORGIA MELONI: 6,5

Al di là di alcune uscite improbabili, mettendo da parte alcuni attacchi incomprensibili (dopo aver sbraitato anche in aramaico sulla detenzione dei pescatori dalla Libia, avrebbe quantomeno dovuto esultare alla notizia della liberazione invece di far polemica sottolineando che non è stata una «vittoria della diplomazia né della politica italiana»), non si può negare che in questo anno Fratelli d’Italia sia cresciuto enormemente. Governa diverse Regioni (dall’Abruzzo alle Marche fino al Piemonte), attira nuovi iscritti e, in alcuni casi, anche parlamentari transfughi. Ma, soprattutto, la differenza dall’amico Matteo è nelle argomentazioni: al di là della condivisione o meno, la Meloni entra nel merito delle problematiche piuttosto che trincerarsi dietro battutine, slogan, sorrisini e continui elenchi. Ed è forse anche per questo che, con le dovute proporzioni, il suo partito è in crescita mentre il Carroccio perde quota.

SILVIO BERLUSCONI: 6

Il fascino del Cavaliere (a patto che non si guardi al suo passato, sia chiaro) è sempre quello: nel momento in cui lo si vede lontano dall’agone politico ispira simpatia, quasi tenerezza. Sarà per l’affetto che sempre e comunque la senilità ispira, ma è indubbio che Silvio Berlusconi sia un leader tornato in auge. Strano gioco del destino. La notizia di questi giorni del suo addio a Palazzo Grazioli ha lasciato tutti con un lieve senso di nostalgia, quasi come se la sua “Disneyland” e le peripezie di cui è stato scenario cominciassero a mancare un po’ a tutti. L’ultima magia del Cav.

NICOLA ZINGARETTI: 6

Difficile dare un voto a chi resta sempre nelle retrovie. Al di là delle dirette sui social e delle dichiarazioni in pubblico, c’è da dire però che Zingaretti è protagonista di un cambiamento epocale per il Pd. L’alleanza strutturale che si profila all’orizzonte con il Movimento 5 Stelle rappresenta di fatto un triplo salto carpiato della politica italiana: dal bipolarismo si è illusa di cadere nel tripartitismo e ora il Pd ricomporrà un bipolarismo proprio con quella forza politica che voleva rompere quel “patto” politico. Resta da capire se il “gioco” funzionerà: le distanze su tanti punti restano. Specie su questioni delicate come la democrazia interna, i diritti sociali e le politiche comunitarie. Argomenti troppo fragili per chiuderli a lungo termine nel congelatore. Prima o poi rispunteranno e lì si capirà se il “progetto pilota” del Conte 2 può dar avvio a qualcosa di duraturo. O meno.

ROBERTO SPERANZA: 4,5

Aveva cominciato non bene, benissimo. Era addirittura, secondo alcune stime pubblicate tempo fa, uno dei politici più amati in Italia. Più amato perfino di Conte. Poi, però, qualcosa si è rotto. Complice l’emergenza sanitaria più complicata che la storia contemporanea ricordi, Roberto Speranza si è smarrito. Quanto sta accadendo sui vaccini non è perdonabile con l’arrivo in ritardo delle dosi, con le somministrazioni che procedono a rilento, con la Germania che arbitrariamente acquista dosi a milioni contravvenendo a quanto stabilito in Europa. Certo, non è solo colpa di Speranza. Ma è lui, di fatto, che rappresenta una gestione che per buona parte del 2020 è stata ottimale, e che adesso rischia di perdersi. Proprio sul più bello.

MARIO DRAGHI: n.c.

Almeno per ora.