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Cassazione: dire "andate via" a extracomunitari è razzismo

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L'aggravante dell'odio razziale può essere applicata anche in caso di espressioni di disprezzo generiche rivolte verso le persone straniere.

La Corte di Cassazione ha stabilito che nell’aggravante della discriminazione razziale è “irrilevante l’esplicita manifestazione di superiorità razziale” e perciò può essere applicata anche in casi di espressioni quali “cosa siete venuti a fare” e “andatevene via” o simili. La decisione è stata presa in riferimento a un processo in cui è coinvolto un 40enne, accusato di lesioni insieme a un altro imputato.

La sentenza

Per l’aggravante dell’odio razziale bastano generiche espressioni di disprezzo e non solo “l’esplicita manifestazione di superiorità razziale”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che ha riconosciuto l’aggravante della discriminazione razziale, con il conseguente aumento della pena, a un 40enne accusato di lesioni insieme a un’altra persona. Durante il processo, la difesa dell’imputato avevo chiesto una riduzione della pena, rigettata dalla Suprema Corte. La richiesta partiva dal presupposto che le affermazione del 40enne, che gli sono state attribuite da testimoni, non intendevano offendere le persone cui erano state rivolte. Non richiamano, in altre parole, una presunta superiorità razziale. Ma, per quanto non si citi esplicitamente l’etnia di una persona extracomunitaria, alcune frasi possono essere lette come una discriminazione proprio su base razziale. In riferimento al caso specifico, frasi come “andate via” etc. indicano che qualcuno debba lasciare un posto a causa delle sue origini; espressioni del genere infatti sono, secondo la Cassazione, “chiaramente espressive della volontà che le persone offese e gli altri cittadini extracomunitari presenti ai fatti lasciassero il territorio italiano a cagione della loro identità razziale“. Inoltre, l’espressione deve essere inserita nel contesto in cui è stata pronunciata: i due imputati si sono incontrati in un bar che sapevano essere frequentato soprattutto da persone di origine straniera. Il quel posto sono state dette le espressioni verbali incriminate. Il particolare del luogo sarebbe indicativo, sempre secondo la Corte, della determinazione “di diffondere odio verso la presenza nel Paese di soggetti appartenenti a un’altra etnia”.

“La manifestazione di un pregiudizio”

La decisione della quinta sezione penale della Cassazione quindi riconosce l’aggravante della discriminazione razziale anche in assenza un’esplica affermazione di “superiorità razziale”, perché alcune espressioni verbali ne sono la manifestazione implicita. Sostenere che una frase sia generica non scagiona dall’accusa, come è accaduto nel caso dell’imputato 40enne. La Cassazione infatti rammenta che l’aggravante della discriminazione su base razziale, etnica, nazionale o religiosa “non ricorre solo quando l’espressione riconduce alla manifestazione di un pregiudizio nel senso dell’inferiorità della razza”. Tenendo conto di questa considerazione, può essere estesa anche in presenza di un comportamento che vuole rendere palese la propria discriminazione, coinvolgendo anche altri soggetti; cioè nel caso in cui “la condotta, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analoghi sentimenti di odio etnico o comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori”, afferma la Cassazione.