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Manduria, fidanzata di un aggressore: "Ha picchiato quell'uomo"

Manduria

Una 16enne ha rotto il muro di omertà sul pensionato aggredito. "Il mio fidanzato ha picchiato quell'uomo", ha confessato

I bulli hanno torturato Antonio Cosimo Stano, “soggetto debole” pensionato. Lo hanno aggredito ripetutamente. Le violenze proseguivano da diverso tempo, fino a quando lo hanno lasciato inerme e morente. I membri della “baby gang” che occupa le copertine della cronaca nera nostrana hanno filmato le aggressioni. Poi le hanno inviate in chat per sconfiggere la noia dei sabati di provincia. Sono rimasti in silenzio gli adulti che hanno visto quei video e hanno fanno finta di non sapere, i genitori che credevano fosse soltanto una bravata e quelli che hanno provato a inquinare le prove per salvare i figli dallo scandalo. Persino la professoressa che ha visto il filmato in cui agiva il suo alunno picchiatore e si è limitata a segnalarlo alla madre.

Anche i vicini di casa per settimane avrebbero ignorato le urla dell’uomo picchiato e insultato. Dubbi sull’effettiva presenza dei servizi sociali che ufficialmente non sapevano sebbene un’insegnante dica di averli coinvolti. Anche dopo i funerali di Antonio Stano (deceduto il 23 aprile a causa di un’emorragia gastrica), i suoi parenti continuavano a dire di non aver mai ricevuto richieste di aiuto. C’era un intero paese, Manduria, che sapeva e ha preferito voltarsi dall’altra parte di fronte al dramma della solitudine di un sessantaseienne in difficoltà.

In mezzo a questo drammatico silenzio, si fa sentire la voce di una sedicenne. La ragazza sta aiutando le indagini, rompendo il muro di omertà sollevato attorno alla vicenda.

Manduria, confessione di una 16enne

Una sedicenne del posto si è presentata in commissariato insieme alla madre per denunciare quanto stava accadendo in quella casa di Manduria.

La giovane ha confessato rivelando che c’era anche il suo fidanzato tra quei ragazzi che hanno aggredito fino a uccidere Antonio Cosimo Stano. Ha riconosciuto lui e gli altri ragazzi nei video dei raid che erano stati diffusi su WhatsApp e su altre chat e social network. Inoltre, avrebbe sottolineato il coinvolgimento di alcuni adulti, i quali avrebbero cercato di insabbiare la vicenda, facendo nomi e cognomi.