> > Morire con il vaccino pronto è morire due volte

Morire con il vaccino pronto è morire due volte

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Ci saranno i morti "più morti di tutti": quelli che se ne andranno quando c’è la "cura", ma non faranno in tempo ad averla, figli di una lentezza che davvero non capiamo.

Piccolo preambolo tecnico mainstream: la regione Lombardia ha 10 milioni di abitanti e “conta”, in pia e lodevole intenzione, di vaccinare 140mila persone per febbraio. Nel resto dello stivale non va certamente meglio e la regione col Pirellone è in bilancia solo per questioni di calibro territoriale con la nazione di Tel Aviv.

Israele, che non è una regione ma uno stato, ha infatti circa 9 milioni di abitanti ed è più o meno nello stesso ordine di grandezza della Lombardia. Ha iniziato a vaccinare il 19 dicembre, otto giorni prima e ad oggi ha somministrato Pfizer a 1,87 milioni di persone, con una sanità gheparda che ha allibito il pianeta.

Da noi i bollettini regionali pigolano come cardellini in fregola, con annesse foto da pastura social, ogni volta che 70/80 dosi arrivano a contatto di spalla di qualche decina di pazienti o camici bianchi. In tutto questo molti, troppi media con paturnie da angolo retto hanno messo in tacca di mira non la spaventosa lentezza con cui stiamo risolvendo il problema, ma gli scemi che il problema non lo vedono, cioè quei quattro disastrati terrapiattardi dei no vax. Perché fa più notizia l’elefante bianco della foresta che brucia, ovvio quanto sconcertante.

Ergo, ci ritroviamo frames ed approfondimenti sul talebanesimo zen della Brigliadori o sul medico che non vuole vaccinarsi invece che botte di pungolo ai generali di una battaglia che non è ancora vinta. E le guerre, è bene ricordarlo, si vincono col Genio, oltre che con gli Incursori.

Tutto questo per distrarre dal fatto che a noi non mancano i vaccini, né mancano le persone da vaccinare. Però mancano quelli che i vaccini li fanno e manca un piano di vaccinazione che prenda non dico il galoppo, ma almeno il trotto spinto, a cominciare dai software fino al personale che, non dimentichiamolo, ha anche la sanità ordinaria da gestire. Israele è un caso di eccellenza limite perché ha messo in moto l’esercito più organizzato del mondo e non ha frange radical chic che latrano ogni sei secondi di tagliare i fondi alla difesa.

Tuttavia il dato è un altro: il 23 marzo in Israele si voterà e Netanyahu deve farsi bullo e bello per la bisogna, mettendo assieme necessità etica e di governo con opportunismo politico. Perché c’è poco da fare: un governo senza acqua alla gola e con ataviche tare logistiche è un governo tardo. E un governo tardo può creare, per fisiologica incapacità e non certo per volontà precisa, una forbice temporale fra la prima puntura e l’immunità generalizzata, cioè lo scampato pericolo a livello di sistema complesso, non di singole unità del medesimo.

Una cosa che a casa mia sta fra tragedia e paradosso amaro. Perché in mezzo a quella forbice ci saranno i morti “più morti di tutti”: quelli che se ne andranno quando c’è la “cura”, ma non faranno in tempo ad averla. La stima a contare una immunità di gregge per novembre di quest’anno? Senza scalmane statistiche diciamo che fino ad allora molte centinaia di italiani moriranno perché la cosa che non li avrebbe fatti morire non è arrivata all’altezza della loro spalla. E in mezzo a quei mille sfigatissimi figli di una lentezza che davvero non capiamo, potenzialmente, c’è ognuno di noi.