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Siria, Libia e la risposta inesistente dell'Italia: quali nuovi scenari?

Siria e Libia: nuovi scenari internazionali

Gli odierni scenari internazionali vedono l'Italia relegata ai margini del potere decisionale: quando il Governo si occuperà seriamente delle questioni estere?

Afflitti da un bombardamento quotidiano di notizie sulla crisi Coronavirus, utili senza dubbio pur se monopolizzanti in eccesso, stiamo vivendo inconsapevolmente, quasi ci riguardasse poco, i bombardamenti reali da venti di guerra che si consumano poco distante dai nostri confini, fra Siria e Libia. Ufficialmente si tende anzi a disinformare, riducendo, o meglio, non evocando, le ulteriori conseguenze negative per l’Italia in termini di lesione degli interessi nazionali, sicurezza ed economia, di nuove ondate di immigrazione incontrollata, aggravate da possibili risvolti epidemici.

Siria e Libia: i fatti

Dal 19 gennaio scorso, trascorsa una sola giornata di moderato ottimismo post Conferenza di Berlino sulla Libia, le immediate violazioni del cessate il fuoco, le dichiarazioni e le azioni del sempre più tracotante presidentissimo turco Erdogan, hanno non solo raffreddato le poche speranze di rientrare in gioco da coprotagonisti in Libia ma hanno sancito, da un lato, l’irrilevanza della UE e purtroppo dell’Italia, dall’altro la fragilità operativa delle proposte italiane riguardanti monitoraggio militare della tregua, monitoraggio effettivo dell’embargo sulle armi ed eventuale successivo impiego di una forza militare UE sotto l’egida dell’Onu.

Se non vi saranno cambiamenti di scenari, UE e Italia dovranno quindi ritagliarsi uno spazio cortesemente concesso nell’ambito delle intese Russia Turchia e degli incontri fra i presidenti Putin e Erdogan, prossimi al confronto diretto anche per dirimere l’esplosione guerrafondaia in Siria. Sono i nuovi protagonisti della scena libica, sponsor determinati dei propri interessi e dei due contendenti libici. Una parabola discendente impietosa per il nostro Paese fino a poco tempo fa coordinatore per il G7 e il G20 della stabilizzazione in Libia.

La retorica delle dichiarazioni del nuovo governo, Presidente del Consiglio e ministro degli esteri, sul ruolo centrale dell’Italia nella crisi libica sono risultate pervenute a livello internazionale e inversamente proporzionali alle aspettative e ai fatti. In effetti poche ore prima delle rassicurazioni sul “Corona Vairus” del ministro Di Maio (terminologia anglosassone forse esotica per lui ma poco rispondente alla lingua madre) nulla sembrava in grado di frenare l’incauta frenesia delle dichiarazioni, dell’apparire, mirando più che altro alla scena italiana, del nostro ministro degli esteri. Appena terminata la faticosa riunione dei ministri degli esteri del Consiglio europeo del 17 febbraio scorso, già veniva sbandierato il successo italiano, e in subordine europeo, per l’accordo su una nuova missione Sophia targata UE, appena mascherata dalle novità del presunto rigido controllo UE navale aereo (e perfino terrestre) sull’embargo delle armi in Libia la cui violazione resta continuativa, e per il riconoscimento del “fattore di attrazione” verso le navi militari, e non, da parte di scafisti e migranti irregolari.

La novità tanto sbandierata consiste nel fatto che se ciò si verificasse anche nella rotta da coprire, Mediterraneo orientale e la Cirenaica da dove non dovrebbero partire i barconi, le navi militari UE verrebbero ritirate e spostate. Chi garantirebbe quindi qualora si verificasse questa probabilissima ipotesi il controllo sull’embargo una volta rimosse le navi? E che dire delle regole d’ingaggio in caso di incontri e eventuali sequestri di navi ostili? E se non rispettassero il blocco? Come infine controllare l’embargo sulla Tripolitania dove addirittura fregate turche scortano imbarcazioni civili cariche di armi di tutti i tipi e uomini, anche jihadisti, impiegati nella battaglia in Libia? In sintesi ad una semplice analisi operativa la nuova missione europea appare più come una necessaria decisione politica per essere presenti, non perdere la faccia, “facimmo ammuina”, piuttosto che una risolutiva operazione per arginare efficacemente i traffici. Un prerequisito se si volesse affrontare concretamente una reale stabilizzazione libica.
La missione la cui fase operativa dovrebbe iniziare entro il mese di Marzo, non parte con i migliori auspici. Ingiustificate quindi, nei toni e nella sostanza, dichiarazioni che non riflettano piuttosto cautela e prudenza in questa fase di avvio e definizione della missione.

Le conseguenze

Ancora una volta l’opinione pubblica resta disinformata sulle questioni di politica estera cruciali per l’Italia e per la tutela degli interessi nazionali. Tranne rare eccezioni perfino la stampa e i media nazionali sembrano restii ad approfondire e informare sui rischi concreti, le conseguenze di una politica estera debole gestita “ad hoc” preoccupata di delegare le decisioni ad altri, la UE, l’Onu, in prima istanza, fondata sulle risposte all’emergenza piuttosto che su una visione strategica mirata a preservare, se non a rinforzare, il nostro ruolo nel Mediterraneo. Nel quadro delle alleanze beninteso ma pur sempre a difesa degli interessi nazionali, dei confini, delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) in mare. Le lezioni apprese nel recente passato imporrebbero rispetto per tutti e determinazione, quando necessario, nel farsi rispettare. Eppure ancora disattese da una classe dirigente superficiale, inadeguata, di scarsa competenza (viene il sospetto che una tale incapacità sia voluta, non solo per ignoranza ma per potersi appoggiare ad altri evitando di dover prendere decisioni da Stato sovrano), inidonea a gestire le sfide internazionali complesse, perfino quelle che si sviluppano vicino ai nostri confini, di fronte alle nostre coste. I comportamenti ambigui, poco risoluti, dichiarazioni retoriche e scontate a cui non fanno mai seguito atti concreti di dissuasione, quando richiesti dalle circostanze, contribuiscono a minare ulteriormente la credibilità del nostro Paese nel consesso internazionale. A fronte di un ulteriore pericoloso declassamento internazionale il dibattito interno viene orientato sul corona virus e su questioni quali “sardine”, ius soli, razzismo, accoglienza senza freni di migranti illegali, pericoloso ritorno del fascismo, sovranismo, prescrizione ecc.
Al concetto negativo di “sovranismo” riferito a Lega e Fratelli d’Italia, verrebbero così associati in un giudizio di condanna, la difesa degli interessi nazionali, il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, la salvaguardia di cittadini all’estero e l’operatività di grandi aziende italiane, ENI in Libia ad esempio, sicurezza dello Stato, prevenzione e lotta alle infiltrazioni terroristiche nel nostro territorio. Tralasciando che la tutela di questi settori cruciali non possa essere delegata ad altri in quanto rientrante, oggettivamente, nella sfera di azione di uno Stato riconosciuto e sovrano, non necessariamente sovranista.

In Italia maggioranze e opposizioni dovrebbero trovare condivisione almeno su temi prioritari di politica estera che non siano solo l’appartenenza alle alleanze, al mondo occidentale, alla UE, all’Onu. Da almeno un decennio le crisi regionali, quelle economiche, le guerre asimmetriche, le organizzazioni terroristiche, gli attacchi terroristici e relativi traffici di esseri umani, armi e droga, hanno mutato il quadro delle convivenze, accentuato la competitività anche fra Stati alleati, reso indispensabile il ruolo di uno Stato decisionale pur in un contesto di alleanze e regole comunitarie.
Nel caso italiano le vicende libiche, hanno ribadito con forza e chiarezza quanto sia stato controproducente la mancanza di una visione strategica italiana su Mediterraneo, Africa e crisi migratorie, il rinviare, il non decidere, delegare ad altri, UE, Onu, decisioni e competenze spettanti allo Stato sovrano. Se nei precedenti governi i ministri degli interni Minniti e Salvini, coprendo in maniera anomala in più circostanze anche il ruolo di ministri degli esteri dei disinteressati colleghi titolari del dicastero, hanno influenzato positivamente una pur timida reazione italiana a decisioni Comunitarie non rispettate da altri Paesi e decisamente sfavorevoli (migranti), agli interventi a gamba tesa di Stati alleati (Francia, Austria, Germania), con l’attuale governo si è ritornati alla passività delegante, ai passi felpati di una diplomazia debole, inconcludente, fuori tempo (emblematica, da non sottovalutare la foto di gruppo con il nostro presidente del consiglio relegato in seconda linea mentre il primo ministro Boris Johnson uscito dalla UE e non protagonista in Libia in prima fila. Le posizioni nelle foto ufficiali vengono gestite dal protocollo del Paese ospitante in concorso con i protocolli dei Paesi ospitati i quali possono farsi sentire e ottenere modifiche. In caso di disaccordo conta beninteso il peso del Paese).

Passività e indecisioni hanno così lasciato il campo ad un nuovo pretendente in Libia, la Turchia decisa ad espandere i propri interessi e influenze a riempire i vuoti lasciati dall’Italia calpestando impunemente accordi, regole di convivenza, alleanze internazionali. Lo fa in virtù di decisioni prese, rese esecutive senza porsi tanti problemi se non il primario interesse nazionale. Magari andando oltre, come in Siria, inseguendo disegni espansionistici che un paese come l’Italia mai potrebbe cullare anche con un governo coeso di centro destra poiché agirebbe comunque in un contesto stabilito da alleanze e accordi internazionali.
Rinunciando ad una politica estera più determinata, frutto di analisi, coordinamento dei ministeri coinvolti nella nostra proiezione internazionale, di una selezione di risorse umane adeguate e competenti, delle lezioni apprese e di una strategia nazionale a medio termine, coerente nei seguiti e nelle azioni prioritarie, non riusciremo a tutelare i nostri interessi nazionali, tantomeno a recuperare la credibilità e il rispetto dovuto ad una media potenza strategicamente importante come l’Italia. La decadenza del ruolo stesso del ministero degli esteri è purtroppo palpabile né si intravedono segnali di un ritrovato orgoglio nazionale, di una rinnovata efficienza nell’invertire una tendenza negativa rafforzata dai vari smacchi internazionali subiti in tempi recenti, Libia a parte. I vertici ministeriali, in assenza di un vero, autorevole, competente e credibile Ministro degli esteri, non sembrano in grado di assicurare, se non imporre, un cambio di rotta dettato dai tempi, proseguendo invece su linee di prudenza e indecisioni perfino anacronistiche rispetto alle sfide e ai competitori.

Nuova crisi migratoria alle porte?

Il ruolo politico militare dell’Italia nel Mediterraneo allargato dovrebbe essere consolidato, rimodellato in funzione delle nuove sfide complesse e dei nostri interessi nazionali che oggi più che mai vanno tutelati e difesi. A fronte dei successi delle nostre migliori aziende competitrici a livello mondiale quali ENI in Libia e Egitto, Fincantieri in Egitto, Leonardo è evidente quanto sia necessario il supporto di una azione politico diplomatica forte, determinata, competente, consapevole del ruolo che ha svolto e che dovrà svolgere il nostro Paese in un’area vitale per la sua stessa esistenza. Il ruolo di mediatore credibile lo si conquista sul campo con continuità e intraprendenza tralasciando le rendite del passato, piuttosto incrementandole con una presenza forte, rispettata, non esclusivamente commerciale. Soprattutto evitando di dare ad altri la percezione di fragilità, debolezza, frutto di iniziative retoriche, velleitarie portate avanti più per fare qualcosa che per incidere realmente sul corso degli avvenimenti.

Nella logica “emergenziale” alla fine l’Italia interviene, ma non su iniziative preventive o di immediata risposta a provocazioni, quali quelle turche in Libia e al largo di Cipro, lo fa dando l’impressione di rinviare, accodarsi ad altri perdendo così l’autorevolezza e il prestigio che un’azione di dissuasione preventiva ritenuta fondata dovrebbe comportare, in aggiunta alla tutela dell’interesse nazionale e al sostegno di Paesi vicini, stretti alleati.

Gli esempi concreti non mancano. L’Italia ha inviato pochi giorni fa la fregata Fasan al largo di Cipro, facendosi precedere dall’iniziativa francese del Presidente Macron. Risultato tangibile: il primo ministro ellenico al termine di un incontro con il presidente francese ha definito pubblicamente le fregate francesi dislocate nel Mediterraneo orientale come “garanti della pace”…E quella italiana? Non sono stati riportati dalle agenzie e dalla stampa commenti simili a seguito del recente e ritardato attivismo nell’area del nostro ministro degli esteri Di Maio.

Partecipiamo ad una missione navale europea nello stretto di Hormuz al di fuori del quadro UE e Nato su iniziativa francese e comando francese. La partecipazione italiana sarà anche utile tuttavia verrebbe da chiedersi quali saranno i vantaggi o le contropartite per l’Italia nell’assecondare il desiderio francese di diventare leader incontrastato della difesa e sicurezza europea al di fuori del quadro Nato. La Francia non ha certo rallentato le sue azioni di contrasto all’Italia in Libia, in Egitto dove al di là degli aspetti politici sono mal digerite le probabili commesse a Fincantieri e la presenza massiccia dell’ENI. Nel Sahel potremmo forse intervenire, secondo fonti stampa, con un contingente militare a supporto dell’operazione Barkhane guidata e condotta dai francesi a sostegno dei propri interessi, uranio, e dei Paesi sub sahariani del G5. La partecipazione italiana sarebbe strategicamente utile e fondata eppure fuori tempo e in un contesto meno favorevole. Non conveniva aderire quando fu richiesta dal presidente Hollande, allora in difficoltà, nel 2014 nel momento in cui avremmo tratto indubbi benefici politici, diplomatici e avremmo evitato la figuraccia dell’attuale presenza militare italiana in Niger a lungo contrastata dai francesi e appena tollerata dai nigerini?

Si può facilmente dedurre dai pochi esempi citati che il valore delle nostre Forze Armate, includendo le migliaia di uomini impiegati nelle missioni internazionali, pur essendo di alta professionalità e apprezzato a livello internazionale, non venga compiutamente utilizzato a supporto operativo di una visione, di una strategia nazionale di lungo periodo, di una politica estera lungimirante e determinata nella tutela degli interessi nazionali, ivi inclusi i confini, la sicurezza, l’immigrazione illegale, la lotta al terrorismo internazionale, un sostanziale incremento delle presenze italiane a livelli decisionali negli organismi internazionali. Un braccio formidabile della politica estera, assieme a quello della cooperazione internazionale, viene così sminuito da tempistiche di impiego ritardate e retoriche senza concretizzare realmente i benefici che si dovrebbero trarre da importanti sforzi finanziari, da un impiego di risorse altamente qualificate.

Si è arrivati al punto di offendere la dignità stessa delle Forze Armate, svilendo la loro primaria ragione di esistere allorché, per colpevole incompetenza e inidoneità, il precedente ministro della difesa immaginò demagogicamente di dare priorità soprattutto ad un impiego modello protezione civile delle Forze Armate, non solo nelle calamità naturali. Un danno morale e materiale che per fortuna l’attuale ministro della difesa sembra aver frenato, stando alle ultime dichiarazioni rilasciate, pronto quindi a rassicurare e ristabilire i ruoli di competenza delle FFAA. La necessità di ripristinare e rimodellare la collocazione italiana nel Mediterraneo allargato in linea con le sfide complesse, risulta più che mai urgente e decisiva e non sembra possa attuarsi senza un governo coeso, determinato, con competenze accertate e riconosciute, scevro da istanze demagogiche pronto a farsi valere con competitori e alleati eliminando la percezione di debolezza che rende ininfluenti coloro che si accodano alle decisioni altrui.

Recuperare influenza e leadership in Libia sarà difficile eppure è quello che ci si aspetta concretamente a tutela dei nostri interessi nazionali e del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. La crisi siriana, dove da anni l’Italia ha delegato ad altri la sua influenza, non facilita il percorso.

La crisi migratoria siriana, con aggiunta di pakistani, indiani, ed altri sulla rotta balcanica imporrà decisioni rapide e forti anche di sostegno alla Grecia nella difesa dei confini strabordanti a seguito delle azioni turche alquanto ricattatorie. Tutte le decisioni andrebbero nel senso di una tutela più rigida dei confini nazionali ed europei. Anche con azioni dissuasive o con l’ingaggio serio della missione navale europea. Cosa farà l’Italia? E se dall’Africa sub sahariana arrivassero altri migranti irregolari con la minaccia aggiuntiva ed eventuale della diffusione del corona virus (unico caso dichiarato per ora in Nigeria di un italiano portatore)? La lezione dei porti del tutto aperti e ospitali, il messaggio sbagliato di puntare ancora e solo sull’Italia percepito da trafficanti e criminali verranno rintuzzati senza ambiguità dal governo? I tempi stringono, Francia, Gran Bretagna, Germania stanno già adottando le misure restrittive del caso alla faccia della sbandierata solidarietà europea. Possiamo almeno adeguarci sulla linea dei nostri alleati e farlo valere finalmente sul campo? Non è più tempo di dichiarazioni superficiali, trionfalistiche prive di riscontri e seguiti operativi bensì di azioni concrete, preventive, dissuasive quando è il caso. Le cose si sono fatte serie, ormai.