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Francesco Cataldo: "Giulia è il frutto di una lunga ricerca"

francesco cataldo

Francesco Cataldo, siciliano doc, ci presenta "Giulia”, un album autobiografico, pubblicato da poco e dedicato alla figlia.

Francesco Cataldo amante della semplicità e dell’eleganza con la sua musica mai sovraccarica di tecnicismi, tocca le corde più profonde dell’anima. Le sue composizioni sono racconti, pagine di vita col profumo degli agrumeti intorno a Siracusa e la salsedine di Ortigia. Francesco ha saputo andare alla ricerca dell’essenza della sua arte, con pazienza e momenti di “deserto”, ma attirando l’attenzione dei grandi del jazz internazionale quali il contrabbassista americano Scott Colley o Marc Copland che ha suonato con lui in “Giulia”, un album appena pubblicato, dedicato alla figlia, un gioiellino di tessiture quasi impalpabili, ricche di sfumature poetiche, di tratteggi che sembrano accennati ma carichi di linee melodiche e profumate che denotano uno stile e un gusto assolutamente inconfondibili. Una musica la sua, che mal si adatta a qualunque rigida definizione, perché libera di essere e alla quale è impossibile rimanere indifferenti.

“I brani di Francesco, belli come una carezza infinita destinata a perdurare per un lungo viaggio”. Queste parole del grande Pupi Avati, descrivono alla perfezione la tua musica che racconta senza ricorrere alle parole. Come nascono le tue composizioni?

Nascono nella lentezza, nello svuotamento che precede sempre le nuove ispirazioni. Le mie composizioni, non conoscono la fretta ma trovano posto e voce nell’anima, solo dopo aver fatto “deserto”. Questo silenzio per me è fondamentale e irrinunciabile. Fanno parte di me e raccontano ciò che sento, quello che sogno, il mondo che vedo. La mia musica affonda le sue radici nella meravigliosa terra di Siracusa, tra Licata paese di mia mamma e Buccheri dove è nato mio padre. La mia vita e la mia musica, si snodano tra questi due paesi separati da una valle, l’uno sul mare e l’altro arroccato sulle montagne di Siracusa: da lì parte tutto e probabilmente anche i caratteri “somatici” di questa mia musica.

Siracusa è il posto del cuore dove trovare ispirazione?

Quando nasce un brano, un’idea melodica anche altrove e fuori da Siracusa, sento comunque il bisogno di passeggiare da solo in Ortigia, di tornare lì canticchiandomi il tema per cercare una sorta di “approvazione” e di conferma. Qualsiasi composizione “passa” da Ortigia, quasi a voler ricevere una sorta di “benedizione” da questo posto magico. Ho dedicato all’isola di Ortigia due brani: Ortigia (Spaces), Levante (Giulia). In realtà però, tutte le mie composizioni nascono da lì, passano dal Castello Maniace e attraversano lo stesso mare: il mare di Siracusa.

Che cosa rappresenta Ortigia, perché le hai dedicato in tempi diversi due brani intensi come Ortigia e Levante?

Ortigia rappresenta da sempre il quartier generale delle mie emozioni, della mia spiritualità. Le luci in questo piccolo isolotto, nei vicoli stretti, variano durante la giornata quasi a riflettere gli umori dei siracusani spesso indaffarati e distratti e quindi incapaci di cogliere quella magia. Tutte queste luci si riflettono sui colori dei miei brani. Il mare, per definizione, rappresenta da sempre dinamismo, varietà, sofferenza e gioia. Tutte queste onde emotive si riflettono ogni giorno su di me quando cerco intimità passeggiando per l’isola. Tramonti, albe, pomeriggi assolati, pioggia, cielo plumbeo mi fanno compagnia da sempre accompagnandomi in questo viaggio della vita e nella musica. Il porto con le barche che vanno e vengono mi ricorda che fuori da Ortigia c’è vita, movimento, il mondo fuori che tutti desideriamo esplorare.

Ovunque io vada, il cuore della mia musica, della mia spiritualità rimane sempre li. Il faro di Ortigia che mi aiuta a tornare al “porto” dell’anima, per trovare la pace anche quando il “mare” della mia vita è agitato.

Siciliano doc, hai saputo attirare l’attenzione dei grandi del jazz internazionale. Ci racconti come sei sbarcato a New York?

Nel 2012 ho scritto un’email al contrabbassista americano Scott Colley (Pat Metheny, John Scofieldm ecc…). Dopo qualche giorno mi ha risposto definendo stupendi i pezzi che gli avevo inviato, invitandomi ad andare a registrare a New York. Scott ha anche puntualizzato da subito che era la prima volta che registrava con un musicista col quale non aveva mai avuto contatti, aggiungendo che ero il terzo italiano col quale avesse mai registrato oltre a Stefano Bollani e Pieranunzi. “Spaces” uscito nel 2013, ha scatenato a livello mondiale un tripudio di bellissime recensioni e, di fatto, mi ha spalancato le porte di un mondo nuovo. Quello che mi rende fiero della mia musica e che ho condotto gli americani a suonare i miei brani in punta di piedi, senza sovraccaricare ma con l’essenzialità che li rappresenta.

“Giulia” è tua figlia e il titolo dell’album appena uscito che la ritrae sulla copertina, di spalle a una finestra. A quella finestra a guardare il mondo e la vita ci sei anche te e quel fanciullino che ancora vive in te. Un album acustico e intimo che oggi, in rotazione nelle radio di Boston Chicago New York e Kansas City, continua a raccogliere consensi e ottime recensioni . Come sei arrivato a Giulia?

Giulia arriva nel 2020 dopo anni di riflessione durante i quali, ho meditato e fatto deserto. Durante quegli anni ho ridotto al minimo l’ascolto di musica altrui per svuotarmi totalmente e senza alcun condizionamento. Oggi sono grato a quel “deserto” perché mi ha dato modo di guardarmi dentro accettando che la creatività passi attraverso sofferenze e solitudini. “Giulia” è un album autobiografico, intimo dove messa da parte la chitarra elettrica di Spaces, ritrovo una dimensione acustica che mi ha riportato in qualche modo a casa. Il suono di chitarra classica e baritona in Giulia sono il frutto di una lunga ricerca, non solo tecnica (corde, set up…) ma anche e soprattutto introspettiva. Come il cantante cerca per anni la sua voce interiore e fisica, lo strumentista dedica la sua vita alla ricerca del suono che più lo possa “rappresentare” all’esterno, al mondo, al pubblico che ascolta. Queste chitarre sono la mia voce interiore.

GIULIA COVER

Giulia è stato realizzato con Marc Copland al piano e una coppia ritmica top formata dall’impeccabile Pietro Leveratto e dal batterista americano, “in punta di bacchette”, Adam Nussbaum.